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N° 1 18 direttore simone siliani redazione gianni biagi, sara chiarello, aldo frangioni, rosaclelia ganzerli, michele morrocchi, barbara setti progetto grafico emiliano bacci [email protected] [email protected] www.culturacommestibile.com www.facebook.com/cultura.commestibile editore Nem Nuovi Eventi Musicali Viale dei Mille 131, 50131 Firenze Registrazione del Tribunale di Firenze n. 5894 del 2/10/2012 Con la cultura non si mangia Larghissime intese Manuela Repetti Parlamentare del gruppo misto e moglie di Sandro Bondi “La mia opinione è che oggi il problema non sia quello di costruire un’alternativa di centrodestra al governo Renzi, un centrodestra tutto da ricostruire e da ri- fondare nei contenuti. Semmai, di fronte al rinnovamento della sinistra incarna- ta da Renzi, per le forze liberali e riformiste la sfida è di proporre un progetto politico nuovo, per oggi e per il futuro, cioè l’alleanza tra un’area oggi ancora dispersa di centro e la realtà di una sinistra per la prima volta davvero moder- na che Renzi rappresenta

Cultura Commestibile 118

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N° 118

direttoresimone siliani

redazionegianni biagi, sara chiarello, aldo frangioni, rosaclelia ganzerli,

michele morrocchi, barbara setti

progetto graficoemiliano bacci

[email protected] [email protected] www.facebook.com/cultura.commestibile

editore Nem Nuovi Eventi Musicali Viale dei Mille 131, 50131 FirenzeRegistrazione del Tribunale di Firenze n. 5894 del 2/10/2012

Con la cultura non si mangia

Larghissime intese

Manuela RepettiParlamentare del gruppo misto

e moglie di Sandro Bondi

“La mia opinione è che oggi il problema non sia quello di costruire un’alternativa di centrodestra al governo Renzi, un centrodestra tutto da ricostruire e da ri-fondare nei contenuti. Semmai, di fronte al rinnovamento della sinistra incarna-ta da Renzi, per le forze liberali e riformiste la sfida è di proporre un progetto politico nuovo, per oggi e per il futuro, cioè l’alleanza tra un’area oggi ancora dispersa di centro e la realtà di una sinistra per la prima volta davvero moder-na che Renzi rappresenta

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Da nonsaltare

Nel novembre scorso si è spento a Nimes, all’età di ottant’anni, il fotografo

francese, ma verrebbe voglia di dire provenzale, Lucien Clergue (1934-2014), universalmente noto fino dagli anni Cinquanta e Sessanta per i suoi nudi femminili che si rotolano sul bagnasciuga, fra le onde che giungono a riva, ed inquadrati in modo da escludere la testa ed il volto delle modelle. Quest’ultimo dettaglio, sembra es-sere stato motivato da una ipocrita interpretazione della legge dell’e-poca, per cui se nelle fotografie si vede il pube, non si deve vedere il viso, e viceversa. In realtà Lucien Clergue è stato molto di più di questo. Autodidatta, inizia a foto-grafare nel 1949, a quindici anni. A diciannove anni, nel 1953, fotografa le corride di Arles e sot-topone le sue immagini a Picasso, che ne resta affascinato e ne chiede altre, stabilendo con il fotografo un legame di reciproca e duratura amicizia. Molto legato alla Pro-venza, ne esplora il territorio ed il litorale, affascinato soprattutto dal paesaggio della Camargue, che raf-figura per particolari, in maniera curiosa e quasi ossessiva. Fotografa i giochi del vento e delle onde sulla sabbia ed i disegni quasi astratti che vi rimangono impressi, i riflessi del sole negli stagni, le tracce e le carogne degli animali. Ossessionato dall’idea della morte, nella corrida come nelle carcasse che trova abbandonate per terra, è ossessionato, per contrasto, anche dai nudi femminili, che continua a riproporre nel corso degli anni, in un susseguirsi di Veneri acefale appena rivestite con la schiuma marina, con la sabbia bagnata, o più tardi con giochi di luci ed ombre, e perfino osando negli ul-timi anni l’impiego del colore. La fotografia impegnata socialmente non lo attira, preferisce rifugiarsi in se stesso, come scelta di libertà personale, e raramente si dedica a temi “umanistici”, come nella serie “Saltimbanchi” di ispirazione pi-cassiana o nella serie dedicata agli zingari che ogni anno si radunano alle Saintes Maries de la Mer. Nel 1957 pubblica con le edizioni Seghers il libro “Corps mémor-able” con le foto dei nudi marini che lo renderanno celebre. I testi sono poesie di Paul Eluard, la copertina è firmata da Picasso, la

Lucien ClergueOltre il nudo

di danilo [email protected]

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Da nonsaltare

prefazione è di Jean Cocteau. Il libro sarà rieditato e rimaneggia-to numerose volte ed in diverse forme, fino al 1996. Seguono numerosi altri fotolibri, oltre settanta, a partire da “Toros Muer-tos” del 1963 e da “Les gitans” del 1966. Nel 1968 i suoi nudi marini vengono di nuovo pubblicati nel fotolibro “Née de la vague”, e nel 1976 esce “Camargue secréte”.Oltre che fotografo, Lucien Clergue è stato un grande orga-nizzatore culturale. Nel 1968, insieme allo storico Jean-Mau-rice Rouquette ed allo scrittore Michel Tournier getta le basi di quella manifestazione denomi-nata “Rencontres internationales de la photographie d’Arles”, poi semplicemente “Rencontres d’Arles”, che dal 1970 si tiene ogni anno in luglio. Ogni volta si alternano mostre, esposizioni, conferenze, serate ed incontri che coinvolgono l’intera città ed attirano centinaia di fotografi, dai più noti e celebrati, ai più giovani e promettenti. Molti fotografi vengono coinvolti in attività di-dattiche, stages e confronti diretti con il pubblico. Dal successo internazionale dei “Rencontres” nasce nel 1982 una nuova inizia-tiva, di concerto con il Ministero della Cultura, l’Ecole Nationale Supérieure de la Photographie, che consacra la fotografia come arte, accanto a pittura, scultura ed incisione, e che trova la sede proprio ad Arles, città che viene preferita alla stessa Parigi.Nel 1979 Lucien Clergue viene proclamato dottore in fotografia all’Università della Provenza di Marsiglia, con un lavoro intitolato “Langage des Sables”, assoluta-mente privo di parole e costituito unicamente da fotografie. Questo lavoro viene pubblicato nel 1980 con una prefazione scritta da Roland Barthes. Nel 2003 Lucien Clergue riceve la Legion d’Onore e nel 2006 è il primo fotografo ad entrare come membro nella Acca-demia delle Belle Arti dell’Istituto di Francia. Qualunque sia il giudizio su Lucien Clergue fotografo, ritenuto da qualcuno forse troppo ripetiti-vo, introverso e poco attento alla realtà sociale, la figura di Lucien Clergue come animatore culturale rimane una delle più importanti e determinanti nella storia della fotografia della seconda metà del Novecento.

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Ovvia, “Stasera a Otto e Mezzo si religiona...”, ebbe a postare la Francesca Comparini Campana nei Carrai sul suo profilo Fb il 6 aprile. E, infatti, si è concionato di religione parecchio dalla Gru-ber, non c’è che dire. Non è stato indimenticabile il pensiero della signora, organizzatrice del Fe-stival delle Religioni, sul Islam e Cristianesimo, ma alla domanda della Lilly, “lei ama la politica? A casa parlate di politica?”, la Campana si innalza su livelli stratosferici: “Se amo la politica? Amo la politica culturale, quella sì E la sera a casa parliamo di po-litica guardando Otto e mezzo”. Così, religionando, la Compa-rini Campana si lancia, dalle colonne digitali del Corriere della Sera (11.1.2015) in un ardito sillogismo che farebbe impallidi-re Aristotele: “Cosa fa superare l’indifferenza? Il superamento delle differenze. Cosa fa superare la diffidenza? La conoscenza”. Se ne dedurrebbe, fatta la tara sull’ovvietà conclusiva, che si dovrebbe tendere all’omologazio-ne (superando, cioè, le differenze)

e, in tal caso, come di grazia si supererebbe l’indifferenza, se tutto è uguale? Ma, a parte ciò, la signora ha la ricetta chiara in tasca: un’ora obbligatoria di storia delle religioni a scuola e le jeux sont fait. Perché “sapere i fondamenti di religione è oggi più di sempre indispensabile come conoscere la lingua inglese” e qui siamo quasi alle Tre I (in-glese, internet, impresa) di ber-lusconiana memoria. Le culture religiose sono importanti. “Quelle che re-ligono, che quindi legano i popolo”, Etimologia, in verità

assai controversa, che invece la Comparini beve a boccia. Secon-do Cicerone la parola deriverebbe dal verbo relegere, “rileggere”, riconsiderare ciò che riguarda il culto degli dèi. Lucrezio (come anche Lattanzio e Servio), invece la faceva derivare dalla radice re-ligare, ma ne derivò il significato negativo, dell’uomo trattenuto, con le mani “legate dietro la schiena” davanti agli dèi. Chissà se, la sera a cena, in casa Camapana-Carrai avranno avuto modo di discutere, anzi di religionare, pure di questo.

riunione

difamiglia

Siamo ai saldi di fine stagione ed è il momento buono per fare acquisti: “Hai meno di 30 anni? Iscriviti al Pd di Milano e acquista da noi il tuo biglietto Expo, ti costerà 25 euro al posto di 50. Lo-devole iniziativa, ça va sans dire. Si sa, a Milano son sempre avanti: è la capitale produttiva d’Italia e avamposto europeo italico nel continente. Quello che si imma-gina e si sperimenta qui, diventa dopo anni, modus vivendi in tutto il paese. Così la trovata geniale del segretario milanese del PD, Pietro Bussolati (laureato in Economia con Master in “Gestione dei servizi pubblici locali” alla Bocconi), è

destinata a fare strada. Intanto è un atto d’amore per Milano (“ci siamo messi a disposizione della città). Ma, state sereni, tutto in regola: il PD è rivenditore ufficiale autorizzato dei biglietti dell’Expo e loro hanno pensato bene di dare

agli studenti universitari “sia la possibilità di partecipare alla vita del nostro partito che quella di ve-dere l’esposizione”. Poi, “a brevissi-mo, sarà pubblicato il regolamento finanziario per esteso che darà i dettagli di tutta l’operazione”, ma son dettagli. Il Bussolati è già pron-to a diventare rivenditore autoriz-zato del derby Milan-Inter, sempre per carità per dare un’opportunità in più ai giovani di partecipare alla vita attiva del PD...Intanto a Roma, Francesco Bo-nifazi (tesoriere del PD), fiutato l’affare, sta già preparando la prossima campagna tesseramento: “Hai meno di 30 anni? Iscriviti al PD e potrai scegliere fra una seduta all’estetista della Moretti, una cena con Manciulli, un sessione di jogging con Matteo sulle rive del Tevere, un’ora di dog-sitting per il canino della Boschi: ti costerà solo 25 euro al posto di 50”. Firmato CRAL-PD.

Come per il movimento fondato dal nostro avo, il cd. movimento comu-nista internazionale, anche per il renzismo il problema dell’ortodossia si sta facendo pressante. E, come per il movimento dei lavoratori dell’Ottocento, anche oggi sono in ballo questioni di rilevanza globale. Come leggere altrimenti i contorcimenti recenti di renziani doc, giglio-dorati-cerchiati, della prim’ora fiorentini? Campione di tuffo rovesciato con avvitamento carpiato è il sindaco Nardella che, all’indomani della presentazione del nuovo Documento di Econo-mia e Finanza 2015, si prende una sfuriata con il povero sindaco di Bologna, Virginio Merola, al quale il DEF taglia soltanto il 5%, mentre a lui sindaco della Città Metropolitana di Firenze (nonché coordinatore di tutte le città metro-politane, fa notare malignamente il Merola) il 23%. Il bolognese reagisce e rintuzza il vile attacco fiorentino e il Nardella risponde chiamando il causa l’oggettivo peso dei numeri. Ma non sarà sfuggito ai lettori, come non è sfuggito a Renzi, che questa disfida sui tagli porta ad avvalorare la tesi di quel secchino puntiglioso di Fassino (presidente ANCI e sindaco di Torino) secondo il quale il DEF comprende tagli ai Comuni e Renzi questo ha negato decisamente. Ma come? Renzi ha appena finito di bacchettare sulle manine lunghe e affusolate il Fassino e dalla sua Firenze si sollevano le lamentele dei suoi più fidati scherani? Tutto è tollerabile, finanche l’appoggio della renziana della prim’ora Sara Biagiotti (presidente ANCI Toscana e sindaco di Sesto Fiorentino) alla linea puntuta del secchino torinese, ma le critiche della sua creatura fio-rentina, proprio no! E così, Dario è costretto all’avvitamento carpiato e, prima di “spanciare” in acqua, si dissocia dal Fassino-Biagiotti pensiero: “I tagli rappresentano una sfida ra raccogliere e tutti gli enti devono fare la propria parte”. Ortodossia del renzismo... “Spec-chio, specchio delle mie brame, chi è il più renziano del reame?”

le Sorelle Marx

lo Zio di TroTZky

i Cugini engelS

La religione diFrancesca

Le gitedeldopolavoro

Chi è il più renzianodel reame

BoBo

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Vincenzo AccameIlleggibile

La contemporaneità ha messo in luce l’esigenza di una visione interdisciplinare

sul discorso estetico, capace di unire i confini espressivi fra i vari linguaggi. In un momento storico-culturale in cui la poesia lineare e l’arte figurativa sembra-vano esser giunte al culmine della propria comunicatività e sembra-vano aver esaurito gli obiettivi e le finalità dei rispettivi linguaggi, entrò in gioco lo sperimenta-lismo in quanto gioco e sforzo intellettuale, teso a ristabilire gli equilibri perduti e a ricostruire il senso estetico della percezione grazie a quella originale capacità di creare espressioni nuove e inedite. In tale necessità simbio-tica di rinnovamento letterario, artistico e culturale si inserisce la ricerca di Vincenzo Accame, in cui la parola, la forma, il colore, il segno grafico e l’immagine stessa della rappresentazione, unite in un’unica soluzione, danno luogo a un incontro ricercato – ma, al tempo stesso, fortuito – in quanto generatore di infiniti significati, diversi da quelli di partenza. Ciononostante la visualità poetica non rifiuta la semantica della parola, ma ne esalta il valore: l’intellettuale, conscio dell’evolversi inarrestabile dei codici linguistici, partecipa a una ristrutturazione del linguag-gio, con l’obiettivo di rinnovare la percezione quotidiana in vista di un futuro espressivo interdisci-plinare e multisensoriale. Nelle opere di Vincenzo Accame l’atto mentale si unisce al gesto estetico con l’intento di cogliere i nessi esistenti fra la manualità della scrittura e l’oggetto scritto, ossia il passaggio dalla fase cognitiva del pensiero alla scrittura vera e propria. Il pensiero si traduce in segno grafico con tempistiche che sono ben lontane dall’automati-smo e dalla velocità delle sinapsi: in tal senso il significante acqui-sta una valenza maggiore rispetto al significato, poiché rispecchia solamente una piccola parte di ciò che appartiene al pensiero. L’essenzialità di tale legame si traduce in Vincenzo Accame in una “illeggibilità” costante: le minuziose scritture e l’astrat-tismo dell’architettura segnica si amalgamano per mettere in evidenza il nesso ancestrale fra il

A sinistra Quattro bozzetti per libro (N.1), anni ‘70China su cartacm 29,5x21Sopra Senza titolo, anni ‘70 (partico-lare)Tecnica mista su telacm 35x50Sotto Senza Titolo, 1997Tecnica mista su cartoncino in colata di plexiglasscm 27,5x18,5x11

Tutte courtesy Collezione Carlo Palli, Prato

di laura [email protected]

rappresentato e l’atto rappresen-tativo, fra l’arte e il pensiero, fra l’anima creativa e il gesto estetico. Quella dell’artista è una poetica razionale che traduce la pittura in scrittura e la scrittura in una costante azione produttiva.

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il progetto Imago Versiliae nasce da una idea di alcuni anni fa, durante una pausa

del convegno sul Risorgimento in Versilia, organizzato sempre dal Circolo Culturale Fratelli Rosselli di Pietrasanta. Da quella prima idea è nato un convegno ad alto profilo e una mostra realizzata con materiali provenienti unicamente dall’Ar-chivio Storico del Comune di Pietrasanta, uno dei più impor-tanti della Toscana, che possiede documenti dal 1200 sino ad oggi. Proprio da questo scrigno sono stati estratti dei veri e propri tesori, alcuni anche inediti, che testimoniano la nascita della nostra Versilia. Nell’archivio oltre a documenti dell’attività amministrativa della Comunità e della Cancelleria di Pietrasan-ta, ritroviamo atti inerenti la giurisdizione civile e criminale del Capitanato di Giustizia e del Vicario dal XVI al XIX secolo. Tanta è anche la Cartografia relativa al territorio.In epoca romana l’attuale Versilia, come noi la conosciamo, non esisteva, e al suo posto si trovava una enorme palude che andava da Pisa a Massa e dalle Alpi Apuane al mare. I Romani chiamavano questa area Fosse Papiriane ed avevano iniziato la costruzione di una serie di canali navigabili che collegavano questa zona a Pisa. Fu soltanto con l’avvento dei Medici che furono avviate bonifi-che, proseguite poi con i Lorena, iniziando così a prendere forma una nuova realtà territoriale, e una stagione di sviluppo e di prosperità dopo anni di turbolen-ze e fronteggiamenti, su queste terre, di potenze quali Lucca, Pisa, Genova e Firenze. Con l’arrivo dei Medici furono avviate bonifiche su larga scala, aperte nuove strade e vie di collegamento. Il Capita-nato di Pietrasanta come enclave Medicea, divenne città fiorente ed importante per lo sfruttamento delle risorse marmifere e non solo.Il Circolo ha raccolto storia, parole e immagini per provare a rendere più comprensibile il territorio della Versilia, il nostro territorio. Un’area che ha subito una profonda trasformazione nei secoli, ponendo le basi per la nascita dell’odierna Versilia come entità territoriale specifica, con le

sue peculiarità e differenze rispet-to anche a città confinanti come Camaiore. Per fare un esempio caratteristico, possiamo prendere a modello il dialetto versiliese, che fa parte del gruppo garfagnino – versiliese, molto diverso dal luc-chese. Del dialetto versiliese i lin-guisti dicono che abbia assonanze col fiorentino, questa assonanza è sicuramente dovuta al fatto che la Versilia è stata per molto tempo sotto il dominio dei Medici e del Gran Ducato di Toscana.Il Circolo Culturale Fratelli Rosselli di Pietrasanta si rivolge con questo lavoro soprattutto alle nuove generazioni. Potreb-bero pensare che tutto questo non li riguardi, che sia solo una rievocazione anacronistica di fatti

passati, ma oggi più che mai, in momenti di crisi economica ma anche e soprattutto di valori, è importante avere una memoria condivisa delle nostre origini. Sapere chi eravamo ieri per capire dove siamo arrivati oggi. Com-prendere la nostra storia comune deve essere un atto di fede verso il futuro che i giovani rappresen-tano, anche per non permettere che nessuno decida di ipotecarlo. Ragazzi, usate le vostre conoscen-ze apprese sui banchi di scuola e nelle università, la vostra intelli-genza fresca e vivace per capire il passato e vivere nel miglior modo possibile il futuro.

La storia della Versilia

di PaTriZia [email protected]

Scavezzacollo

di MaSSiMo [email protected]

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Fino al 3 maggio, il MAXXI di Roma ospita la mostra Architettura in Uniforme.

Progettare e costruire durante la Seconda Guerra Mondiale. Concepita e realizzata dal Ca-nadian Centre for Architecture di Montréal nel 2011, la mostra è approdata in Europa l’anno scorso, in due diverse edizioni ampliate e riadattate rispettiva-mente dalla Cité de l’architectu-re et du patrimoine di Parigi e dal MAXXI. La genesi di questa mostra è tut-tavia più lontana e si fonda su un vastissimo, e più che decen-nale, lavoro di ricerca condotto dal suo curatore, Jean-Louis Cohen, che colma attraverso una prospettiva inedita, un lungo vuoto della storiografia architettonica. Spesso restituiti come un pe-riodo di sospensione e di pausa professionale, gli anni della guerra appaiono tutt’altro. Ar-chitetti e progettisti non furono mai così attivi ed impegnati, pronti a rispondere con il loro bagaglio professionale alla mobilitazione totale provocata dallo sforzo bellico. Il decennio che separa Guernica dalla bom-ba atomica fu così un intenso laboratorio di sperimentazione, fondamentale per capire i cam-biamenti della nostra cultura materiale nel dopoguerra. Costruita su dei nodi tematici e con un orizzonte internazionale, la mostra riesce a comporre un quadro estremamente sfaccet-tato e permette di esplorare una molteplicità di esperienze nazionali. Dalla guerra alle città e il drammatico bisogno di proteggere il proprio patri-monio artistico, come accade soprattutto in Italia, alla neces-sità di riprogettare l’esistente con nuovi materiali autarchici; dal fronte industriale dove gli architetti americani sono impe-gnatissimi nella progettazione di fabbriche e alloggi operai, alla ricerca sulla prefabbricazione e normalizzazione dei sistemi costruttivi. Dalle tecniche di ca-mouflage, al tema fondamentale del cambiamento di scala della progettazione, testimoniato da “macroprogetti” come Auschwi-tz e il Pentagono... Ma questa è una storia che

di ValenTina [email protected] parte innanzitutto dalle vite: un

incipit biografico introduce la mostra, con una serie di ritratti fotografici dei protagonisti che ci osservano e testimoniano esperienze professionali agli an-tipodi. Ed oltre ad affermare la portata della guerra - da Albert Speer a Szymon Syrkus, come spiega il curatore - i volti dei protagonisti ci parlano di come le biografie abbiano guidato il lavoro di ricerca. Indizi biografi-ci hanno portato ad affascinanti scoperte d’archivio. Per quel che riguarda le vicende italiane, due i casi esemplari: i progetti di mascheramento di depositi d’artiglieria che Pietro Porcinai elabora per il genio militare, e i disegni di Piero Bottoni per l’UNPA. Messi a confronto con altre esperienze internazionali, entrambi testimoniano di come architetti e paesaggisti siano stati coinvolti nell’elaborazio-ne di nuove strategie di difesa dalla guerra aerea. Da un lato il “disegno dell’invisibile” - la spe-rimentazione di sofisticate tecni-che di camouflage - dall’altro lo studio degli effetti delle bombe sugli edifici e la progettazione di rifugi per proteggere i civili. Ma sono molte le esperienze degli architetti italiani in mostra. Dall’impegno di Bruno Zevi per gli alleati, al tema della prigio-nia che tocca le vite di Ludovico Quaroni, Germano Facetti, Lodovico Belgiojoso, alla mili-tanza sulle riviste di Gio Ponti e Giuseppe Pagano... Architet-tura in Uniforme è una mostra densissima di temi e ricchissi-ma di materiali. Un’impresa a scala mondiale, capace di dare un senso nuovo ad una delle esperienze più drammatiche e cruciali del Novecento.

Architetturain uniformeal Maxxi

In alto Germano Facetti, Taccuino di disegni realizzati durante il periodo di prigionia nel campo di Gusen, 1944-1945. Fondo Germano Facetti - Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contempo-ranea ‘Giorgio Agosti’, Torino Max Mengeringhausen, A fianco Il sistema MERO, esempi di possibili strutture 1943. Pagina contenuta in Max Mengeringhausen, Raumfachwerke aus Stäben und Kno-ten, 1975. Collezione privata

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il sole colpiva in pieno le case del quai de Valmi ed era un sole così brillante che veniva

naturale chiedersi come mai quel luogo avesse una reputa-zione tanto sinistra... Maigret stava indagando su un corpo senza testa trovato impigliato nell’elica di una chiatta ormeg-giata sul Canal Saint Martin. Marinai d’acqua dolce, cada-veri ripescati, ragazze di vita, il commissario si era trovato in molte romanzi in quel luogo. Ci veniva volentieri, ne apprezzava l’atmosfera e l’ottimo Muscadet offerto nei tanti bistrot. Prima di lui le lavandaie dell’Assomoir di Emile Zola si erano sfidate sulle sue rive a coltellate per amore. Canal Saint Martin, lontano dalla fastosità della più famosa Senna, continua a scor-rere stretto tra vecchi platani e noccioli con le sue arcuate passerelle in ferro e l’acqua che sfiora i marciapiedi. Lungo 4,5 chilometri fu immaginato da Luigi XIV e realizzato da Napo-leone I nei primi anni del 1800, in parte interrato dal barone Georges Eugène Haussmann durante la sua trasformazione di Parigi, rischiò di sparire per es-sere sostituito da un’autostrada

Dove Maigret indagavasu un corposenza testa

di SiMoneTTa [email protected]

sposa nel film Atlante, Amélie Poulain nel “Il favoloso mondo di Amélie” tira i sassi dal ponte Recollets....Attorno al canale con un fascino da romanzo noir e una toponomastica fantastica (escluse des Mortes, rue Paradis, rue Dieu) gli ultimi artigiani hanno lasciato le loro botteghe ai bistrots, negozi di design, boutiques. Le leggendarie casa chiuse sono diventati alberghi di charme ma l’atmosfera rimane unica. Si può scoprire con una lunga passeggiata sul bordo dell’acqua o prendendo un battello alla Bastiglia e lasciarsi andare al suo ritmo lento, alle attese davanti alle chiuse che aprendosi lo solleveranno di 25 metri al di sopra del livello della Senna, al movimento dei ponti girevoli che “si fanno da parte” per lasciarlo scivolare via. Anche i negozi attorno al canale contri-buiscono al fascino di posto diverso: Antoine et Lili, design etnico e vestiti, si presenta con una sfilata di facciate dipinte di giallo limone, verde mela e rosa confetto, Artazard libreria di libri speciali e vecchi modelli Polaroid con i relativi caricatori in vendita...Un angolo della città poco conosciuto dai turisti e molto amato dai parigini, da visitare in una giornata di sole.

a 4 corsie voluta da Pompidou. Salvato a furor di popolo, Canal Saint Martin è oggi monumen-to storico e luogo di grande fascino carico di memorie letterarie e cinematografiche. L’Hotel du Nord presso il ponte

girevole di Grange aux Belles, misero alloggio per amanti di un’ora e commessi viaggiatori, oggi ristorante, ha ispirato il film omonimo di Marcel Carnè, Jean si tuffa nell’acqua del cana-le e vede la sua amata vestita da

Avete voglia di leggere un buon libro? Intendo dire: un libro che si fa apprezzare per il contenuto, oltre che meravigliosamente scrit-to? Domanda retorica, no? Il libro - “Case, amori, universi” di Fosco Maraini (Oscar Mondadori, pp. 712, € 12,00) – è una narrazione autobiografica condotta in terza persona attraverso l’”intermedia-rio” Clé (Anacleto) Raimondi, espediente che consente all’autore di descrivere un sé stesso che un po’ gli somiglia e un po’ “va per conto suo” e gli concede – avverte in prefazione - “l’agio di pren-derlo in giro”. Se vorrete, potrete leggerlo un po’ come se, potendo tornare bambini, vi accingeste ad ascoltare da un genitore o da un nonno il racconto di una lunga fiaba divisa in numerose puntate, scandita dalle fasi di un’esistenza comunque vissuta all’insegna dell’irrequietezza e della curiosità intellettuale. C’è l’infanzia nella villa di Ricor-boli, dove il protagonista speri-

menta la gioia e il senso di libertà che procura la vita in campagna. Il fanciullo è forte di un retroterra insolitamente felice (la famiglia, gli affetti, il benessere materiale e la cultura dell’ambiente di casa, la “gentilezza da miniatura delle campagne intorno a Firenze”) ma vuole andare oltre, è pervaso da quella “fatua leggerezza,” da quella certa “propensione alle manìe, agli innamoramenti” tipiche dell’età e soprattutto sprigiona uno spirito ribelle, un “brivido di libertà totale” che pare costitutivo della sua anima. Poi ci sono la giovinezza e l’ingres-so nell’età adulta, con il formarsi di solide amicizie, gli studi supe-riori, le prime escursioni in mon-tagna, l’incontro con la donna della vita, il matrimonio, le figlie. Se un limite si può evidenziare in alcuni passaggi della narrazione è

il tono un po’ ‘leggero’ e compia-ciuto - quasi civettuolo -, che sa di romanzo rosa più che di vita vera. Sono pur sempre brevi tratti che non scalfiscono il già dichiarato (e irretrattabile) pregio dell’opera. Pregio che si spalanca – oltre che nelle pagine di sapore georgico dell’infanzia - in quelle dedicate ad una delle spedizioni carovaniere

del grande orientalista Giuseppe Tucci, cui Clé/Maraini ha la fortu-na di aggregarsi. Tucci - studioso di sterminata cultura, il professore dalla fronte “alta e amplissima” del quale sono riportate alcune “caval-cate di pensieri ad alta voce” - è la sua chiave di accesso al Tibet: un Paese la cui bellezza può lasciare sgomenti (“Il sole urlava luce in un cielo di cobalto, tremendo e stupendo, risvegliando in ogni direzione colori folli...”), con i suoi splendidi paesaggi alpestri, i torrenti fragorosi che precipitano a valle con le loro acque cristalline, gli spazi immensi dinanzi ai quali parlare sembra un sacrilegio, la musica dei silenzi e del vento, i segni, l’iconografia di un popolo indomito e religiosissimo. E belle, ancora intense sono le pagine dedicate agli anni vissuti in Giappone (tra il 1938 e il 1945, in particolare a Sapporo, poi a Kyoto, quindi a Nagoya), anni non sempre facili, anzi in parte vissuti tra stenti e fame a causa della guerra.

Case, amori, universiMaraini

di MarCo PaCioni [email protected]

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nel quale i concerti svolgono un ruolo centrale. “Easter”, composta nel 1970, vie-ne eseguita dal vivo alla Cornell University di Ithaca (New York) nell’aprile dello stesso anno. È la prima volta che il MiniMoog viene usato in un concerto. Successivamente Borden fonda l’etichetta Earthquack, che nel 1974 pubblica il primo LP del gruppo, intitolato semplicemente Mother Mallard’s Portable Master-piece Company.Ma il risultato più stimolante di questa ricerca sonora è The

Continuing Story Of Counterpoint, un impressionante monumento sonoro per tastiere, chitarra, fiati e voce che dura circa 3 ore. Com-posto da Borden fra il 1976 e il 1987, il ciclo verrà poi pubblicato in edizione integrale dall’etichetta Cuneiform. Nel frattempo il gruppo si è sciolto, l’etichetta Eartquack ha chiuso e Borden ha deciso di proseguire da solo. Music for Amplified Keyboard Instruments (Red Records, 1981) è il primo frutto di questo nuovo corso. Ristampato recentemen-te (Spectrum Spools, 2014) con note del musicista, il disco propone quattro brani composti fra il 1978 e il 1981. “Esty Point, Summer 1978” contiene schegge bachiane ben riconoscibili. “En-field In Winter”, dedicata a Judy Borsher, collaboratrice del gruppo fondato da Borden, è caratterizza-ta da toni arcani e misteriosi.Gli altri pezzi sono due parti della Continuing Story Of Counterpoint, la sesta e la nona. La formazione è diversa rispetto alla versione origi-nale: insieme a Borden suonano Paul Epstein e Nurit Tilles, en-

Nel 1964 Robert Moog e Herbert Deutsch realizzano il sintetizzatore che diven-

terà celebre col nome nel primo. Subito dopo Moog fonda una ditta per garantirne la produzio-ne. La sede si trova a Truman-sburg, un paese situato a nordest di New York. Basta poco perché lo studio di registrazione diventi la meta di alcuni compositori desiderosi di familiarizzare col nuovo strumento. Uno di loro è David Borden. Nato a Boston nel 1938, laureato in composizione a Harvard, questo musicista è uno dei primi a seguire lo sviluppo del nuovo strumento e a promuover-ne l’uso. Il Moog guadagna fama mondiale grazie al successo di Switched-on Bach (Columbia, 1968), il disco dove Wendy Carlos (all’epoca Walter Carlos) rielabora col sin-tetizzatore alcuni brani di Bach. Nel 1969, insieme a Steve Drews e Linda Fisher, Borden fonda la Mother Mallard’s Portable Masterpiece Company, il primo gruppo che utilizza quasi esclu-sivamente sintetizzatori. Inizia così un cammino pionieristico alla scoperta di nuove sonorità,

trambi impegnati ai sintetizzatori. Come nei dischi precedenti il Moog dispiega una notevole varietà timbrica e armonica. Quindi siamo lontani anni luce dai celebri “muggiti” cari a Keith Emerson e a tanti altri tastieristi rock. Non è un orpello, ma il protagonista. Spicca in particolare l’ultimo brano, la lunga sesta parte del ci-clo: incalzante e ipnotica, questa ragnatela di sonorità minimaliste presenta qua e là sprazzi melodi-ci. Suoni freddi, dirà qualcuno, ma chi ama la musica dovrebbe riconoscere che la ricerca è pre-ziosa in quanto tale, indipenden-temente dal fatto che il risultato suoni gradevole alle sue orecchie. È proprio il caso di Borden, che prosegue la propria ricerca musi-cale alternando la composizione all’attività universitaria. Nel 1987 fonda il Dipartimento di Musica digitale della Cornell University, che dirige fino al 2010. Oggi, a quasi 77 anni, continua a studiare e collabora attivamente con gio-vani musicisti, fra i quali James Ferraro, Laurel Halo e Oneohtrix Point Never.

Nell’epico West le fanciulle ma-nifestavano al colto e all’inclita di essere sentimentalmente impe-gnate, e quindi scevre da eventuali corteggiamenti, appuntando ai ca-pelli un nastro giallo. “She wore a yellow ribbon” era il titolo di una popolare marcetta nonché quello di un film di John Ford, del quale la canzone è il tema conduttore, e che, grazie a già in altre occasioni citate discutibili scelte, fu distri-buito nei cinema italiani come “I cavalieri del Nord-Ovest”: non posso esimermi a questo punto dal citare l’esilarante caso, sempre riferito a John Ford, del suo “Rio Grande” che in Italia, per ignoti motivi, diventò “Rio Bravo” (nel film i prodi del 7° Cavalleria che inseguono i perfidi apache devono fermarsi sulle sponde del Rio Grande, lato Stati Uniti, per non entrare in Messico, dove il fiume si chiama Rio Bravo, e non viceversa). Purtroppo poco tempo dopo, mentre i traduttori brindavano ancora al colpo di genio, Howard Hawks girò per

l’appunto “Rio Bravo” che, dopo un attimo di panico, diventò “Un dollaro d’onore”.Scusandomi per la digressione, torniamo a noi per dire che fra il ‘600 e il ‘700, a Firenze, un nastro giallo nei capelli delle donne ave-va tutt’altro significato, come ac-cennato nel prosieguo prendendo lo spunto da Via del Monte alle Croci. Nel 1628 il frate francesca-no Salvatore Vitali aveva realizzato una Via Crucis sulla salita che da Porta San Miniato arriva, lungo la scalinata finale, fino a San Salva-tore al Monte (la chiesa progettata alla fine del 1400 da Simone del Pollaiolo, detto “Il Cronaca” per via di un puntiglioso resoconto di un suo viaggio a Roma), lungo un percorso che avrebbe preso il nome di Via del Monte alle Croci.

La Via Crucis del Venerdì Santo diventò ben presto l’occasione per l’allestimento di mercati estemporanei lungo la salita e luogo prediletto delle prostitute che, con il nastro giallo che per legge dovevano portare alla luce del giorno, approfittavano della gran folla per la loro “pesca del diavolo”, come la definivano i

predicatori fiorentini. Se durante il giorno le prostitute dovevano indossare il nastro giallo, la notte erano facilmente riconoscibili grazie alle torce con le quali si ag-giravano in cerca di clienti e, negli ambienti più raffinati, ci si riferiva a loro chiamandole pudicamente “torce”.Nel 1710, in previsione dalla travolgente predica che avrebbe tenuto lungo la Via Crucis frate Leonardo da Porto Maurizio, Cosimo III emanò un editto che stabiliva che “le donne di malavita non potessero in quel giorno uscire dalla città”.Non fu che uno degli editti anti-prostitute per i quali si distinse Cosimo III, ritenuto il più bigotto fra i Medici (che pure annoverarono cardinali e papi); il culmine lo raggiunse istituendo per il Lunedì Santo, di concerto con il vescovo di Firenze, un’ap-posita predica “redentrice” in Duomo alla quale erano obbligate ad assistere le prostitute censite dalla polizia medicea nel cosiddet-to “Libro dell’honestà”.

di FaBriZio [email protected] Via del Monte alle Croci

She worea yellow ribbon

Nel labirinto del suonodi aleSSandro [email protected]

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orientale del Mediterraneo. “Syria by bus” non sarà un’iniziativa in-centrata sulle complesse dinamiche politiche ed economiche del paese, ma un’occasione per riscoprire luoghi, suggestioni e volti che ora, purtroppo, stanno per scomparire o già non esistono più.

Secondo l’ultimo dettagliato rapporto (2014-2015) stilato nell’ambito del progetto

“Conflict Barometer” dell’Univer-sità di Heidelbergh (www.hiik.de/en/konfliktbarometer), ammonta a ben 46 il numero dei conflitti in corso nel mondo: tra questi spicca per numero di vittime e per capa-cità distruttiva la guerra in Siria; nata in forma di protesta sociale e politica, si è trasformata ben presto in guerra civile fino ad allargarsi in conflitto sovranazionale, che ha coinvolto i movimenti jihadisti formanti il sedicente Stato Islami-co dell’Iraq e del Levante. Oggi il conflitto siriano colpisce milioni di persone, di comuni cittadini, costretti a abbandonare le loro vite e a vivere da sfollati in condizioni tali che noi non siamo neanche in grado di immaginare. Oggi il po-polo siriano vive nel più totale di-sorientamento e rischia di perdere e di veder cancellata una ricchezza incommensurabile: il patrimonio culturale, simbolo identitario della civiltà locale, universalmente apprezzato in tutto il mondo per il suo straordinario interesse. Ogni giorno giungono a noi notizie di distruzioni di siti archeologici in Siria e in Iraq, ogni giorno millenni di storia appartenenti a tutta l’umanità vengono calpestati. Dobbiamo tutti reagire di fronte a questo scempio. Il primo atto da compiere è senza dubbio quello di accrescere la propria conoscenza sulla regione; un modo semplice per affrontare la ricerca è osservare attentamente delle immagini: infatti, le fotografie, più della voce, narrano gli eventi in modo efficace e soprattutto ci coinvolgono in essi conducendoci verso una collettiva presa di coscienza. A tale scopo l’Associazione di Pro-mozione Sociale “Artumes” (www.artumes.it) organizzerà un evento, intitolato “Syria by bus” che si svolgerà il 18 aprile 2015 a Prato (dalle ore 15 presso l’Hotel Palace, via Piero della Francesca, 71; per informazioni: [email protected]). Sarà una conferenza con relativa mostra fotografica che accompa-gnerà il visitatore nella realtà siria-na sulla scia di immagini raccolte nel corso di un viaggio compiuto nel settembre del 2010, pochi mesi prima dell’inizio dei moti della cosiddetta “Primavera araba”, che hanno coinvolto e sconvolto l’area

Syria by busun diario di viaggio nelle terre d’Oriente

di alBerTo [email protected]

Il Krak dei Cavalieri, fortezza che è considerata il castello medievale per eccellenza d’età crociata, bombardato durante l’assedio della vicina città di Homs nel luglio 2013.

Il manierismo dei Fratelli Taviani è una limpida riserva autoriale italiana in questi tempi di vacche magre. Non è poco. Il confronto cinematografico con il film “Il Decameron”di Pasolini, inevi-tabile, denota un approccio più didascalico al testo, con l’eccezio-ne dell’ampio spazio introduttivo riservato alla cornice della Firenze vessata dalla peste. Il cinema dei fratelli Taviani ha il grosso pregio-difetto di non “mutare” nel tempo: diciamo che invecchia con loro. Il taglio delle inquadrature, la grana della pellicola sembrano essere gli stessi di “Kaos” o de “La masseria delle allodole”, in una riproposizione piatta (in senso buono) della vita e delle delle opere dell’uomo. Tutto scorre in maniera placida; perfino l’even-to efferato viene assorbito dalla neutralità “soffice” della trasposi-zione filmica. Ed è per questo che, a differenza che in Pasolini, ogni quadro boccaccesco - il tragico e il comico - viene inglobato nell’al-veo di un canto tenue, come la nenia cantata con un filo di voce

dall’ottuagenario. Forse è proprio ciò, per converso, a rendere palpa-bile la mefitica incombenza della peste, pregevole spettro aleggiante nelle frammentarie scene iniziali (su tutte quella del marito sep-pellito vivo assieme ai corpi della moglie e della figlia), scarne come quelle di certo cinema documen-taristico degli anni settanta. A massacrare la pellicola concorrono

due fattori complementari: la presa diretta che mostra impie-tosamente l’inadeguatezza di molte prove attoriali e la pallida carismaticità delle nostre maschere cinematografiche; in altre parole, la peste che attanaglia il nostro cinema, ed è  forse inconsciamen-te a questa che i due registi fanno riferimento nel continuo metafo-rico gioco tra passato e attualità. Siamo distanti comunque anni luce dalla carnascialità picaresca di matrice pasoliniana e dal meravi-glioso (quello sì!) “Boccaccio 70” dei Monicelli, De Sica, Visconti e Fellini. Dell’opera rivoluzio-naria del Boccaccio rimane solo lo stilema, grazie soprattutto ai sublimi squarci della campagna toscana, del resto ben illustrati da mani sapienti. Poco altro, se non la fascinazione per la fissità buco-lica e quasi neoclassica dell’opera dei Taviani che pare congelare in un passato remoto perfino le ultime istanze innovative insite nel Decamerone, e cioè quelle relative alla precarietà della condizione umana, della caducità del tutto, della tirannia della mutazione.

di FranCeSCo [email protected] La peste

del cinemaitaliano

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della Compagnia Virgilio Sieni e dell’Accademia sull’ar-te del gesto, che dal 2007 indagano in sempre più stretta simbiosi i processi di trasmis-sione attraverso un serrato confronto tra danzatori pro-fessionisti e amatori di tutte le età, dai bambini agli anziani. La prima parte del cartellone di quest’anno riunisce sot-to il titolo Nelle pieghe del corpo tre progetti: Paesaggi del gesto ad aprile, dedicato all’incontro tra danzatori professionisti, bambini, non vedenti e diversamente abili, Stanze segrete a maggio, con creazioni di cinque coreografi per giovanissimi danzatori se-

lezionati in varie scuole toscane, e Family a giugno. Il progetto Family si rivolge a nuclei fami-liari di tutte le

nazionalità per la creazione di azioni coreografiche inedite realizzate da 6 coreografi. Un percorso nella direzione del linguaggio dell’Accademia, verso la trasmissione del gesto, un’esplorazione nella geogra-fia del corpo che, valicando identità e generazioni, crea un’inedita mappa di azioni e sentimenti. È un progetto per il coinvolgi-mento di gruppi che appar-tengono a uno stesso nucleo familiare - fratelli, genitori e figli, marito e moglie, convi-venti, cugini, nonni e nipoti.I coreografi che partecipe-ranno alla realizzazione del progetto e creeranno le azioni, Michele Di Stefano, Marina Giovannini, Kinkaleri, Giulia Mureddu, Cristina Rizzo e Virgilio Sieni, non richiedono nessuna conoscenza specifica di danza o di teatro. Le selezioni sono aperte fino al 20 aprile. Per informazioni 055 2280525, [email protected], www.cango.fi.it

agli inizi di aprile il Ministero dei beni e delle attività culturali e

del turismo ha riconosciuto Cango come sede del Centro di produzione sui linguaggi del corpo e della danza. Un riconoscimento importante, attribuito solo ad altre due realtà in Italia, che premia la progettualità che Virgilio Sieni sta dispiegando dal 2003, anno di apertura – resa possibile dal sostegno del Comune di Firenze e della Regione Toscana – di questo luogo di incontro, crocevia di pratiche e di visioni, duttile nell’accoglienza, ma radica-le nella sua identità. Ho un ricordo diretto di quegli anni precedenti all’inaugurazione, nella veste di assessore alla cultura di Firenze: la prima visita nel 2000 all’antro buio e abbandonato che erano i locali della sala da ballo della Goldonetta (che furono luogo di lavoro di Tadeusz Kantor e della Bottega di Gassman, avvolti nella leggenda e nella memoria di non molti fioren-tini), la decisione di recupe-rarlo con un restauro conser-vativo e di destinarlo a luogo della produzione artistica contemporanea. Non fu scelta facile perché, si sa, il contem-poraneo non ha vita facile a Firenze, ma mi sembrava che il lascito di Kantor (che lì concepì “Wielopole-Wielo-pole”) e il bisogno di luoghi della produzione artistica di oggi, reclamassero a viva voce una scelta estrema di questo tipo. Con qualche strascico polemico (altrimenti non saremmo a Firenze), si arrivò all’inaugurazione nel 2003: senza clamori (come è nello stile, che prediligo, di Virgilio Sieni), con (non moltissimi) estimatori del contemporaneo a Firenze, ma da allora la città ha un centro di produzione contemporaneo fra i più qua-lificati d’Italia. Ovviamente meno apprezzato a Firenze che non in Italia e all’estero, salvo poi la “firenzina” intel-lettual-radical-chic lamentarsi che non c’è contemporaneo a Firenze.Ebbene, Cango è oggi sede

La famigliaCango

di SiMone [email protected]

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di daVide [email protected] Vetta del Monte Austidu (440m?). Processo di

cavatura per la produzione di ghiaie porfidiche

zione delle opere pittoriche, la raccolta e la conservazione degli effetti personali di interesse mu-sicale, le procedure di restauro e conservazione delle memorie audio. Il comitato scientifico del progetto è formato dai professori Francesco Passadore, Marco Di Pasquale e Dinko Fabris; tra i relatori, Antonio Baldassarre (direttore per lo sviluppo e la ricerca del diparti-mento di musica dell’Università di Lucerna), Tommasina Boccia (archivista del Conservatorio

Cosa si sa dell’immenso pa-trimonio dei conservatori di musica italiani? Non

molto, se si escludono i beni bibliografici che le biblioteche dei conservatori custodiscono e valorizzano da sempre. Tutte le altre ricchezze, racchiuse in sedi che spesso sono esse stesse di enorme prestigio architetto-nico e ambientale, occupano uno spazio sommerso e al più sconosciuto alla comunità. È per questo che, promosso dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), si terrà a Firenze da venerdi 17 a domenica 19 aprile il convegno internaziona-le ‘Musica conservata’, presso il Conservatorio Luigi Cherubini (piazza delle Belle Arti n.2). Organizzato dal Conservatorio Cherubini, quale ente capofila, il progetto metterà in rete per la prima volta oltre 60 istituzioni di Alta Formazione Artistica e Musicale di Italia (AFAM), col patrocinio della Regione Toscana, Comune di Firenze, e la collaborazione degli Istituti Superiori di Studi Musicali Ita-liani. Il sottotitolo del convegno è “Valorizzazione, gestione e fruibilità del patrimonio delle Istituzioni Afam”, e tratterà temi spesso poco valutati, quali l’uso o la musealizzazione degli strumenti storici, la conser-vazione e la formazione degli archivi, la tutela e la notifica-

La conservazionedella musica

di Sara [email protected]

San Pietro a Majella di Napo-li), Michele Rak (membro del gruppo di 13 esperti, nominati dal Parlamento Europeo per lo “European Heritage Label”) e Barbara Dobbs Mackenzie (pre-sidente dell’Associazione In-ternazionale delle Biblioteche, Archivi e Centri di documen-tazione musicali), che porterà il punto di vista internazionale sull’argomento. Il fine ultimo sarà, a ottobre 2015, la creazio-ne di un database in cui, per la prima volta, saranno sottoposti a osservatorio e resi pubblici i patrimoni immobiliari, biblio-grafici, organologici (gli stru-menti musicali antichi), artistici e archivistici dei Conservatori di Musica italiani, inclusi i reperti fotografici, memorabilia e materiali multimediali. Un os-servatorio che, dopo una prima fase di elaborazione con accesso riservato, sarà reso disponibile alla consultazione pubblica. A tale scopo sarà approntata una piattaforma informatica che consentirà la gestione di un sito e di un analogo data-base sempre implementabile e modificabile, un elemento di innovazione nella direzione di una ricerca continua nelle Isti-tuzione AFAM. Ingresso libero. Per ulteriori informazioni www.conservatorio.firenze.it.

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Charles Baudelaire“Il vino degli amanti” Vive e violate, Giacevano su letti di ghiaccio: Bivalve: il bulbo spaccato E il sospiro amoroso dell’oceano. A milioni strappate e sbucciate e sparse. La spigola appartiene alla famiglia dei Percidi ed è quindi, anche se la cosa può sembra-re impossibile, una parente prossima della cernia della quale riprende sia la posizione degli occhi, che risultano piuttosto centrali sul muso e consentono all’animale una visione biocu-lare, sia il tipico snodo della mascella.All’appellativo scientifico di Dicentrarchus labrax si con-trappongono una grande quantità di nomi comuni, quasi a voler sottolineare quanto questo pesce sia ricercato per la squisitezza delle sue carni: in alta Italia viene comunemente chiamato Branzino, in Toscana è conosciuto come Ragno, al Sud come pesce Lupo, Lupo, Spinottu. La spigola in acqua è indubbiamente uno dei pesci più belli: il dorso, sovrastato da due pinne dorsali, è di un colore grigio piombo che si stempera in riflessi verdastri fino a divenire argenteo sui fianchi

dove le singole squame brillano indipendentemente le une dalle altre come una miriade di strass.L’aria aggressiva rivela appie-no la sua indole di predatore insaziabile, abituato a cacciare e a non essere insidiato da nessun altro animale se non dall’uomo. Le sue dimensioni unite alla squisitezza delle sue carni ne fanno una preda ambitissima da tutti i subacquei. Gli esemplari che s’incontrano comunemente

si aggirano, infatti, di solito sui due chili di peso, ma possono raggiungere, in casi eccezionali anche gli 80 cm di lunghezza e i 10 chili.Ingredienti per 4 persone:1 spigola d’amo da 1,6 kg8 dl di fumetto di pesce1 dl di vino bianco secco1 pizzico di peperoncino in polvere6 pistilli di zafferanosale e pepe

olio extravergine d’olivaPreparazione: Sfilettare la spigola ottenendo 4 filetti, condirli con sale e pepe e tenere in frigo. Mettere le teste e le lische in una casseruola con un filo d’olio e cuocere a fuoco vivo mesco-lando con forza in modo da schiacciare teste e lische. Versare il vino, lasciare evaporare, ag-giungere il fumetto di pesce, lo zafferano, un pizzico di pepe-roncino in polvere, ridurre a 3 dl, filtrare e tenere a parte.Ungere d’olio una larga padella antiaderente, scaldarla a fuoco vivo, adagiare dal lato della pelle i filetti di spigola, cuocerli per un minuto, voltarli e spegnere il fuoco. Premerli per qualche istante con la paletta schiac-ciandoli sul fondo della padella. Disporli in una piccola teglia e metterli nel forno preriscaldato a 200° C per 4-5 minuti.Intanto riscaldare la padella antiaderente sul fuoco, versare il fumetto ristretto e portare a bollore raschiando il fondo della padella.Versare un filo d’olio emul-sionando velocemente con la frusta, salare e pepare.Coprire a specchio il fondo di 4 piatti preriscaldati con la salsa ottenuta, mettere al centro i filetti di spigola con il lato della pelle verso l’alto, velare con il resto della salsa, e servire subito.

di MiChele [email protected]

aldo Frangioni presentaL’arte del riciclo di paolo della Bella

Scottex“Non riuscivo a svegliarmi. Una notte infame: i lenzuoli si attorcigliava e mi sentivo sprofondare fra le loro pieghe. Non c’era una donna in quel letto, ma solo lattine di birra tutte vuote. Mi salvò un sogno: ero un gatto e potevo oziare quanto volevo, le gatte venivano a tro-varmi e sceglievo le migliori, una vecchia gattaia mi portava da mangiare tutte le sere: questa è la vera vita pensavo sognan-do.” Ci è venuta e mente questa frase apocrifa e inedita di Charles Bukowsky nel guardare a lungo la scultura N° 15, una visone onirica fortemente sgualcita, ma non siamo riusciti a sognare di essere anche noi un gatto!

Sculturaleggera

a cenacon la famigliadei percidi

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La storia di Ibrahim, soldato iracheno rinchiuso per errore nelle prigioni di Saddam Hussein e la vicenda incredibile dei due registi palestinesi Tarzan & Arab saranno protagoniste dei due film pre-sentati in anteprima italiana durante la quarta giornata di Middle East Now, sabato 11 aprile. Con “In the sands of Babylon” (cinema Odeon, ore 20.45), struggente docu-film tra passato e presente vin-citore del festival di Abu-Dhabi, il regista Mohammed Al-Djaradji rivisita uno dei momenti più tragici della storia irachena. Guerra del Golfo, 1991: un soldato iracheno in fuga dal Kuwait viene catturato come traditore dalle Guardie di Saddam Hussein e incarcerato. Nel 2013, attraverso le testimonianze di tre sopravvissuti alla prigio-nia, le verità sulla sua sorte iniziano a riaffiorare (alla presenza del regista, introdurrà Cecilia della Negra – giornalista di Osservatorio Iraq). “Tarzan and Arab” (cinema Odeon, ore 17.00) di Paul Fisher, racconta la storia degli eclettici gemelli che dopo essere cresciuti in una Gaza senza sale cinematografiche, da adulti iniziano a girare film di successo, diventando le nuove promesse del cinema made in Palestina, debuttando a Cannes nel 2013. Prima del film il corto “With Premeditation”, uno degli ultimi lavori del duo artistico palestinese (alla presenza di Tarzan e Arab e del produttore Rashid Abdelhamid).

In the sands of Babylonal Middle East Now

in

giro

ITALY - Via del Castello 11, 53037 - San Gimignano (SI) Tel. +39 0577 943134 [email protected] - Dashanzi Art District 798 #8503, 2 Jiuxianqiao Road, Chaoyang Dst. 100015 Beijing Tel. +86 1059789505 [email protected]

FRANCE - 46 rue de la Ferté Gaucher 77169 Boissy-le-Châtel (Seine-et-Marne) Tel. +33(0)1.64.203950 [email protected]

DANIEL BURENUna cosa tira l’altra, lavori in situ e

situati, 1965-2015

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horror

vacuiDisegni di pam

Testi di aldo Frangioni

“...la poesia di questi bam-

bini nasce dal fatto che in essi ritroviamo tutti

i problemi, tutti i patemi

degli adulti che stanno dietro le

quinte.” Que-sto scrive Um-berto Eco nella

prefazione ad “Arriva Charlie

Brown”. In questo mondo

di piccini-gran-di ci viene

risparmiata l’angoscia,

l’intolleranza o se volete la speranza e la pacificazione che gli adulti vivono con il loro pensiero

religioso: grazie Charles Schulz.

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L

L’immagine in alto è piuttosto “unusual” per questi luoghi. Vedere un povero pedone lungo questa specie di sottopasso autostradale è stato come vedere una mosca bianca! Qui, almeno in quel periodo, si prendeva l’auto anche per fare la spesa nel grocery store a 150 m. da casa, immaginatevi quindi il mio stupore nel vedere qualcuno camminare da solo sotto i ponti della Freeway! Credo sia stata l’unica volta in cui ho assistito ad una

scena dl genere e la geometria dell’evento mi ha davvero colpito. L’altra immagine invece è strettamente legata alla mia passione per la fotografia. Si trattava di uno studio fotografico direttamente aperto sulla strada, uno studio commerciale di livello medio basso dove si faceva un pò di tutto, ritratti posati non troppo impegnativi, riproduzioni, fototessere e sviluppo e stampa di tutte le richieste dei vari clienti occasionali. Non era un luogo partico-larmente conosciuto, ma la qualità del lavoro era, come in tutta la Bay Area, decisamente più che accettabile.

San Jose, California 1972

Dall’archiviodi Maurizio Berlincioni

[email protected]

ultimaimmagine