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1 L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a 44203 utenti - Zurigo, 3 settembre 2015 Per disdire / unsubscribe / e-mail > [email protected] Per iscrivervi inviateci p.f. il testo: "includimi" a: ADL Edizioni In caso di trasmissioni doppie inviateci p.f. il testo: "doppio" a: ADL Edizioni Matinée il 13 settembre a Zurigo 110mo anno del Cooperativo Il Coopi di Zurigo, storico locale dell’emigrazione socialista compie 110 anni e promuove una matinée dedicata alla musica, alla letteratura e alla riflessione politica. Due attori di talento Egon Fässler ed Enzo Scanzi interpreteranno, in italiano e in tedesco, un’intensa antologia tratta da Nonna Adele, grande romanzo di Ettore Cella- Dezza ambientato nella Zurigo del Cooperativo durante i primi decenni del XX secolo. Enzo Scanzi, Egon Fässler Il quartetto d’archi Weshalb Forellen formato da Mario Huter (Violino), Monika Camenzind (Violino), Nicole Hitz (Viola) e Martin Birnstiel, (Violoncello) eseguirà variazioni su motivi della tradizione popolare italiana con incursioni nel mondo del tango argentino: imperdibile!

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La Newsletter settimanale del 3 settembre 2015

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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano

> > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < <

e-Settimanale - inviato oggi a 44203 utenti - Zurigo, 3 settembre 2015

Per disdire / unsubscribe / e-mail > [email protected] Per iscrivervi inviateci p.f. il testo: "includimi" a: ADL Edizioni In caso di trasmissioni doppie inviateci p.f. il testo: "doppio" a: ADL Edizioni

Matinée il 13 settembre a Zurigo

110mo anno

del Cooperativo

Il Coopi di Zurigo, storico locale dell’emigrazione socialista

compie 110 anni e promuove una matinée dedicata alla

musica, alla letteratura e alla riflessione politica.

Due attori di talento – Egon Fässler ed Enzo Scanzi –

interpreteranno, in italiano e in tedesco, un’intensa antologia

tratta da Nonna Adele, grande romanzo di Ettore Cella-

Dezza ambientato nella Zurigo del Cooperativo durante i

primi decenni del XX secolo.

Enzo Scanzi, Egon Fässler

Il quartetto d’archi Weshalb Forellen – formato da Mario

Huter (Violino), Monika Camenzind (Violino), Nicole Hitz

(Viola) e Martin Birnstiel, (Violoncello) – eseguirà

variazioni su motivi della tradizione popolare italiana con

incursioni nel mondo del tango argentino: imperdibile!

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Il Weshalb Forellen Quartett

Nello spirito pacifista della Conferenza di Zimmerwald (che

proprio cento anni fa ebbe il Coopi e la “cooperatrice”

Angelica Balabanoff tra i suoi promotori) interverranno per

un indirizzo di saluto Esther Maurer, Luciano Ferrari e

Felice Besostri, offrendo elementi di riflessione sul

complesso momento politico attuale.

Angelica Balabanoff

(Černigov, 7.5.1878 – Roma, 25.11.1965)

Esther Maurer, municipale emerita di Zurigo, è coordinatrice

nazionale di SolidarSuisse, organizzazione no profit attiva in

14 paesi con cinquanta progetti finalizzati a promuovere

l’aiuto umanitario, la dignità del lavoro e una vasta

partecipazione democratica.

Esther Maurer

Luciano Ferrari ha diretto per lunghi anni la redazione

internazionale del Tages Anzeiger, il maggiore quotidiano

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elvetico; è segretario generale vicario e coordinatore politico

della segreteria nazionale del Partito Socialista Svizzero.

Luciano Ferrari

Felice Besostri, giurista costituzionalista ed esperto di

politica internazionale, è Presidente della Rete Socialista per

il Socialismo Europeo, già Senatore della Repubblica e

membro del Consiglio d’Europa nonché presidente

dell’Assemblea Parlamentare della Iniziativa Centro

Europea.

Felice Besostri

L’incontro, aperto al pubblico, avrà luogo domenica 13

settembre 2015, dalle ore 10.15, nella sala da pranzo del

Ristorante Cooperativo tra gli splendidi capolavori di Mario

Comensoli.

Cooperativo – St. Jakobstrasse 6 – 8004 Zürich

Alle ore 12.30 sarà offerto un buffet.

Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24). L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.

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Da moked/מוקד - il portale dell'ebraismo italiano -

Le sinagoghe europee

contro l’indifferenza

Di fronte al marchio impresso in territorio europeo a decine di

profughi che cercano di mettersi in salvo dalla realtà in fiamme dei

loro luoghi d’origine non basta lo sdegno, serve una reazione forte e

unitaria. Lo ha affermato il Presidente dell’Unione delle Comunità

Ebraiche Italiane Renzo Gattegna commentando le notizie

provenienti dalla Repubblica Ceca e annunciando l’intento di

sollecitare un’ampia mobilitazione della società civile proprio in

occasione della Giornata europea della cultura ebraica che si svolge

questa domenica 6 settembre.

Aylan, annegato a 3 anni mentre tentava

di raggiungere l’isola di Kos (Europa)

Il tradizionale appuntamento in cui le sinagoghe e le istituzioni

ebraiche aprono le porte a tutta la cittadinanza non a caso pone

quest’anno al centro dell’attenzione la necessità di costruire i ponti del

dialogo e della solidarietà e di abbattere i muri dell’isolamento e della

discriminazione.

“I segnali registrati in queste drammatiche ore che ci arrivano dalla

Repubblica Ceca – commenta il presidente UCEI – dove decine di

profughi sono stati letteralmente marchiati come fossero bestiame al

macello, richiamando inevitabilmente il periodo più oscuro della storia

contemporanea, sono soltanto l'ultimo di una serie di inquietanti

accadimenti contro i quali ferma deve sentirsi la voce di tutte le società

civili e progredite. È un fatto gravissimo quello che si registra in queste

ore. Come gravissima è l'immagine di un'Europa che appare sempre

più fragile e incapace di affrontare le sfide che la investono". “Serve

una reazione forte e unitaria - aggiunge Gattegna - ed è necessario che

le realtà ebraiche mettano a disposizione di tutti la loro esperienza di

amore per la convivenza e per la diversità, di tutela identitaria, di

rigoroso rispetto per i diritti civili e le esigenze dei più deboli. Perché il

nostro futuro, il futuro dei valori in cui crediamo e in cui ci

riconosciamo, mai come adesso è posto a rischio”.

“La Storia – conclude Gattegna - ci ha insegnato che l'indifferenza

non è una scelta accettabile”.

Sullo stesso argomento da registrare anche una presa di posizione

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della Presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello: “Le

informazioni che arrivano dal confine tra l’Austria e la Repubblica

Ceca – afferma - sono inaccettabili. Gli agenti stanno segnando con un

numero sul braccio tutti i rifugiati. È un’immagine che non possiamo

sopportare, che riporta alla mente le procedure d’ingresso ai campi di

sterminio nazisti, quando milioni di uomini, donne e bambini venivano

marchiati con un numero, come animali, per poi essere mandati a

morire. Dopo 70 anni da quell’orrore non possiamo restare indifferenti

di fronte a una procedura disumana e chi rimarrà in silenzio rischierà di

essere complice di questi fatti. È ora che l’Europa capisca che il

fenomeno dell’immigrazione, seppur complesso, non può essere

affrontato con metodi repressivi e offensivi della dignità umana.

L’accoglienza prima e l’integrazione dopo sono le politiche su cui i

governi devono lavorare. Se continueremo ad assistere indifferenti a

scene come quelle di oggi allora l’anima dell’Europa nata dalle ceneri

di Auschwitz sarà svuotata di ogni suo valore fondamentale”.

Vai al sito di moked

SPIGOLATURE

Siamo a un passo

Se permettiamo che lungo un'autostrada

della civile Europa dei lumi…

di Renzo Balmelli

ORRORE. Se permettiamo che lungo un'autostrada della civile

Europa, l'Europa dei lumi che nella circostanza è apparsa in tutta la sua

impotenza, si consumi l'orrore del TIR della morte, siamo a un passo

dallo sgretolamento dei valori, conquistati negli anni con tanta fatica,

attorno ai quali fa perno la storia del nostro continente. Se uomini,

donne e bambini muoiono come si moriva nelle camere a gas,

asfissiati, il volto sfigurato dal terrore, sulle lapidi senza nome e senza

pace di questa Spoon River della disperazione, scriveremo soltanto

epitaffi privi di senso. In un sussulto di compassione, possiamo solo

sperare che lo sgomento serva almeno ad aprirci gli occhi, troppo

spesso distratti dall'indifferenza. Sempre che non sia troppo tardi.

MIGRANTI. Litigiosa e disorganizzata, l'UE non ha una strategia ne

soluzioni per affrontare la peggiore tragedia umanitaria del secolo. Ad

approfittarne sono i mercanti di uomini, schiavisti senza cuore dell'era

moderna, e gli spacciatori della demagogia e della paura che ovunque

lucrano consensi elettorali speculando sugli istinti più riposti.

Sull'autotreno abbandonato in Austria la scritta campale offriva " carne

genuina", ultimo oltraggio ai migranti, alle vittime della follia umana,

finanche costretti a pagare per un esodo che non di rado conduce a una

fine atroce. Questa non è l'Europa pensata dai padri fondatori, ma che

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potrebbe diventarlo se l'egoismo sarà più forte della solidarietà, se al

posto del multiculturalismo imboccheremo la deriva del multi

razzismo.

FUGA. Che la Siria, l'Irak, l 'Afghanistan e la Libia, col concorso di

sciagurate politiche locali e internazionali, sia il crogiolo di mille

prevaricazioni è un fatto incontrovertibile. Credere però che il

radicalismo dell'ISIS offra la risposta al bisogno di riscatto delle

popolazioni colpite dai soprusi è una interpretazione priva di senso.

L'affronto fatto alla " sposa del deserto" come viene soprannominata

Palmira non ha nulla di minimamente paragonabile al mirabile affresco

di Pellizza da Volpedo sul Quarto Stato e il progresso della condizione

umana. Come evolverà il Califfato è tutto da verificare, ma quel che è

certo è che finora dal suo teatro operativo si è messa in marcia una

fuga di proporzioni bibliche.

ETICHETTE. Fa sorridere l'ossimoro del "capitalismo comunista"

ripescato dagli ammuffiti sepolcri della guerra fredda quasi a volere

farci credere che la crisi cinese e il terremoto borsistico di Shanghai

abbiano una specifica matrice ideologica e non siano invece, come è

già accaduto in occidente, il frutto di speculazioni azzardate.

Indifferente alle etichette il capitalismo d'assalto sotto ogni latitudine

ha un solo scopo: accumulare ricchezze senza guardare in faccia a

nessuno, neanche a Mao. Alcuni, pochi, hanno tutto, gli altri nulla.

Questa è la semplice morale di una disavventura finanziaria come ce

ne saranno altre sotto il segno dell'avidità.

SCANDALO. Nella Roma di Cinecittà, tanto amata dai registi, è

diventato un copione maledettamente reale lo sfregio inferto dal

funerale mafioso all'orgoglio della millenaria caput mundi e

all'immagine, di cui andare meno fieri, dello stato e delle sue leggi,

usciti vistosamente ammaccati dalla plateale provocazione. Sebbene il

clamore mediatico, forse per non dilatare l'imbarazzo, sia andato

scemando, resta la gravità di un episodio che al di la della pacchiana

esibizione, mostra fino a che punto gli intrecci criminosi possano

infiltrarsi nei gangli della società dando vita a un potere parallelo che

soffoca la vita quotidiana e deturpa questi luoghi di incomparabile

bellezza.

IDEALISTA. Con lui in Italia il patto del Nazareno non sarebbe mai

nato. A 66 anni l'inglese James Corbyn, astro nascente dei laburisti, "

idealista puro e duro" come ama definirsi, si dichiara nemico giurato

dei compromessi che guastano l'anima del socialismo. Con

l'entusiasmo di un neofita, Corbyn, amatissimo dai giovani che ne

apprezzano il rigore e l'onestà, si accinge a scalare i vertici del partito

da troppo tempo a secco di vittorie. L'ondata di sostegno a favore di

Corbyn ha però messo in crisi "l'establishment" del Labour Party che

considera l'eventuale svolta a sinistra dell'arzillo rivoluzionario un

regalo insperato per i conservatori. Boh!

LEGGENDA. In questi giorni non c'era televisione che per celebrare i

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100 anni della nascita di Ingrid Bergman non avesse in palinsesto la

diffusione di Casablanca, il film di Michael Curtiz girato nel 1942 che

ha resistito al passare delle mode senza mai invecchiare. Il fascino

della pellicola, che oltre alla Bergam si avvale anche di altri grandi

attori tra cui Humphrey Bogart, risiede nelle capacità di mescolare il

melodramma, la resistenza e l'amicizia al clima di un'epoca in cui

l'identificazione del male, impersonato dai nazisti, non si prestava a

equivoci. Al di la dei cliché esotici, è la commozione del "Suonala

ancora Sam" che ha consegnato Casablanca alla leggenda.

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia : (ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

Quando la democrazia rientrò in fabbrica

2 settembre 1943, a poche ore dalla firma dell’armistizio con gli

alleati anglo-americani, Bruno Buozzi firma con gli industriali

italiani un accordo interconfederale per il ripristino delle

Commissioni interne, storici organismi di rappresentanza operaia.

di Ilaria Romeo Responsabile Archivio storico Cgil nazionale

2 settembre 1943: poche ore prima della firma dell’armistizio con gli

alleati anglo-americani, Bruno Buozzi firma con gli industriali un

importante accordo interconfederale per il ripristino delle Commissioni

interne. L’accordo (il cosiddetto patto Buozzi-Mazzini) reintroduce nel

campo delle relazioni industriali l’organo di rappresentanza unitaria di

tutti i lavoratori, impiegati e operai nelle aziende con almeno 20

dipendenti, attribuendogli anche poteri di contrattazione collettiva a

livello aziendale.

Già prima della caduta di Mussolini, avvenuta il 25 luglio 1943 in

seguito al voto del Gran consiglio del fascismo, settori importanti delle

classi lavoratrici del nord erano tornati a scioperare contro il regime

nel marzo-aprile 1943. Con l’arresto di Mussolini, il nuovo governo

Badoglio aveva deciso di commissariare le vecchie strutture sindacali

fasciste: Bruno Buozzi era stato nominato nuovo commissario dei

sindacati dell’industria; all’agricoltura era stato designato Achille

Grandi, mentre a Giuseppe Di Vittorio era stata affidata

l’organizzazione dei braccianti.

I tentativi di costituzione e per il riconoscimento di fatto delle

Commissioni interne hanno inizio con il nascere stesso del movimento

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operaio. Di esse si hanno più frequenti notizie intorno al 1900: in

questo primo periodo però erano senza organi stabili, poiché venivano

nominate in occasione di agitazioni o di scioperi come delegazioni

operaie per le trattative con il datore di lavoro.

Il termine Commissione interna si trova per la prima volta usato

all’interno dell’accordo Itala-Fiom, firmato a Torino nel 1906 (°).

Appena due anni dopo, nel marzo 1908, la Lega Industriale dirama – si

legge su “l’Avanti!” – un gruppo di “suggerimenti” alle direzioni delle

industrie da utilizzare come base per un’azione comune verso gli

operai organizzati. Il primo dei “suggerimenti” riguarda, appunto,

“l’abolizione delle Commissioni interne”. Quattro anni dopo, nel 1912,

le Commissioni interne vengono effettivamente abolite per legge. Ma

risorgono nel 1913.

La fine della guerra del 1914-18 trova il movimento delle

Commissioni interne notevolmente esteso e proteso verso un

allargamento dei suoi compiti e delle sue funzioni sul terreno

economico. Scrive Antonio Gramsci su “L’Ordine Nuovo” l’anno

successivo alla sconfitta degli imperi centrali: “L’esistenza di una

rappresentanza operaia all’interno delle officine dà ai lavoratori la

diretta responsabilità della produzione, li conduce a migliorare il loro

lavoro, instaura una disciplina cosciente e volontaria, crea la psicologia

del produttore, del creatore di storia”.

Le Commissioni interne, scrive ancora Gramsci su “L’Ordine

Nuovo” del 21 giugno 1919, “sono organi di democrazia operaia che

occorre liberare dalle limitazioni imposte dagli imprenditori, e ai quali

occorre infondere vita nuova ed energia. Oggi le Commissioni interne

limitano il potere del capitalista nella fabbrica e svolgono funzioni di

arbitrato e di disciplina. Sviluppate ed arricchite, dovranno essere

domani gli organi di potere proletario che sostituisce il capitalista in

tutte le sue funzioni utili di direzione e di amministrazione”.

L’avvento del fascismo arresta però lo sviluppo di questi organi di

rappresentanza: il 2 ottobre 1925 l’articolo 4 del Patto di Palazzo

Vidoni sancisce: “Le Commissioni interne di fabbrica sono abolite e le

loro funzioni demandate al sindacato (fascista) locale”. Restituite con

l’accordo Buozzi-Mazzini del 2 settembre 1943, le Commissioni

interne ricevono una nuova regolamentazione con l’accordo del 7

agosto 1947 tra la Cgil e Confindustria e con l’accordo

interconfederale dell’8 maggio 1953 (l’ultimo accordo interconfederale

sulle commissioni interne è del 18 aprile 1966 e ancora oggi è

formalmente in vigore).

Il 29 marzo 1955 a Torino, per la prima volta la Cgil è messa in

minoranza nelle elezioni per le Commissioni interne alla Fiat. Il

successivo 10 aprile afferma sul “Lavoro” un lucido e coraggioso

Giuseppe Di Vittorio: “Sui sorprendenti risultati delle recenti elezioni

delle Commissioni Interne del complesso Fiat si è concentrata

l’attenzione di tutto il Paese. Questo è un fatto positivo, in quanto può

contribuire a far conoscere largamente al Paese il clima di dispotismo e

di ricatti padronali instaurato alla Fiat e in molte altre aziende,

determinando condizioni più favorevoli allo sviluppo della lotta per il

rispetto dei diritti democratici e della dignità dei lavoratori nei luoghi

di lavoro”.

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“Sarebbe tuttavia un grave errore – continua Di Vittorio nello stesso

articolo – se noi, individuando e denunciando l’azione illegale e

ricattatoria del grande padronato, sottovalutassimo la gravità del colpo

inferto alla Fiom e alla Cgil nelle recenti elezioni della Fiat; se noi,

cioè, tentassimo di scagionare ogni nostra responsabilità nella

sconfitta. Ciò non sarebbe degno di una grande organizzazione come la

Cgil, la quale affonda le sue radici in tutta la gloriosa tradizione del

movimento sindacale italiano, ne rappresenta la continuità storica ed ha

tutto l’avvenire davanti a sé” (leggi tutto).

Scriverà qualche anno più tardi Rinaldo Scheda nel suo diario

personale (inedito e conservato presso l’Archivio storico della Cgil

nazionale): “(…) Di Vittorio mi aveva colpito in tante fasi della sua

vita sindacale. Ci sono però due episodi che mi rimarranno impressi

nel tempo che mi resta da campare (…)”. Uno dei due, ricostruisce il

sindacalista bolognese – segretario confederale della Cgil dal 1957 al

1979 – “si verificò in una riunione del Comitato direttivo confederale

svoltasi a Roma al primo piano della sede di Corso Italia. È una

riunione che fece scalpore. La lista della Fiom per la nomina della

Commissione interna alla Fiat aveva subito una dura sconfitta. (…) La

relazione di Di Vittorio espose le ragioni, le cause di quello smacco.

Conoscevo ormai in quel periodo la sua personalità. Le luci e anche

alcune ombre. Per esempio sapevo che il sottoporre il suo lavoro ad un

esame autocritico gli costava una certa fatica. Era un comportamento

che derivava dalla sua forte personalità. Quella relazione la ricordo

ancora oggi, a tanti anni di distanza, come una pagina esemplare, una

lezione di vita”.

o Il 3 dicembre 1906: viene firmato ufficialmente a Torino il contratto collettivo tra la

Società automobilistica Itala e la Fiom. Si tratta di uno dei primi significativi esempi

di accordo collettivo in Italia. Esso sancisce il riconoscimento delle Commissioni

interne, dei minimi salariali, delle 10 ore giornaliere (su 6 giorni settimanali), della

clausola del “closed shop” per l’assunzione dei lavoratori iscritti al sindacato, il

quale funge da ufficio di collocamento.

Economia

Si ritorna a temere una crisi sistemica

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

La vertiginosa altalena sulle borse internazionali sta mettendo di nuovo

in discussione la tenuta del sistema finanziario globale.

Non è l’effetto a catena del raffreddamento dell’economia cinese e

la conseguente caduta dei listini di Shanghai, come molti, con una

certa dose di opportunismo, vorrebbero spiegare. Si comincia invece a

raccogliere i “frutti velenosi” seminati dai “quantitative easing” della

Federal Reserve, della Bce e di altre banche centrali. Sta accadendo ciò

che paventammo tempo fa su questo giornale.

Le eccezionali immissioni di nuova liquidità da parte delle banche

centrali, per parecchie migliaia di miliardi di dollari, sono andate a

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gonfiare a dismisura i propri bilanci, a salvare le banche too big to fail

in crisi e a rischio bancarotta, a comprare nuovi titoli di Paesi con

crescenti debiti pubblici e a gonfiare i listini delle varie borse.

Tanta nuova liquidità aveva fatto temere una immediata esplosione

inflazionistica. I grandi “gestori della crisi” sono invece stati capaci di

“pilotarla” verso le borse che hanno immediatamente portato le loro

quotazioni agli stessi livelli stratosferici di prima del 2007. Senza

legame alcuno con l’economia sottostante in recessione.

L’inflazione in verità c’è stata, non sui prezzi ma sui valori

borsistici!

Lo sottolinea anche la Banca dei Regolamenti Internazionali quando

dice che “ Nonostante tutti gli sforzi per uscire dal cono d’ombra della

crisi finanziaria, le condizioni dell’economia mondiale sono ancora

lontane dalla normalità. L’accumulo di indebitamento e rischi

finanziari, la dipendenza dei mercati finanziari dalle banche centrali e

il persistere di tassi di interesse bassi: tutto questo sembra diventato

ordinario. Ma solo perché qualcosa è ordinario non significa che sia

normale.”

Se una malattia diventa ordinaria, cronica, non significa guarigione

ne un miglioramento dello stato di salute.

I tassi di interesse negativi praticati dalle banche centrali stanno

causando nuovi seri rischi finanziari. Nei primi 5 mesi dell’anno titoli

di debito sovrano per oltre 2.000 miliardi di dollari sono stati scambiati

a tassi negativi. Ciò ha indotto banche e grandi operatori finanziari a

ricercare “l’azzardo morale” del rischio.

Per mantenere i loro impegni, a livello internazionale le

assicurazioni sono in cerca di rendimenti alti anche se più rischiosi. La

quota di titoli in loro possesso con rating inferiore alla A dal 2007 al

2013 è passata dal 20 al 30% del totale. Anche i fondi di investimento

giocano un ruolo più aggressivo sui mercati. Già nel 2013 i mercati dei

capitali e i fondi di gestione sono raddoppiati nel giro di 10 anni e

manovrano 75.000 miliardi di dollari, accentuando una notevole

concentrazione tanto che oggi 20 fondi controllano il 40% del mercato.

La dipendenza dei mercati finanziari dalle banche centrali e dalle

loro decisioni è cresciuta pericolosamente. Esse detengono il 40% di

tutti i titoli pubblici denominati nelle valute principali. Come

dimostrano gli ultimi avvenimenti borsistici esse sono diventate i

principali attori del mercato, non solo attraverso la fornitura di liquidità

ma anche attraverso gli acquisti diretti di titoli e azioni. E’ una

distorsione che rivela la irrilevanza delle politiche dei vari governi

rispetto alle autorità monetarie.

Si consideri che la semplice possibilità di un aumento del tasso di

interesse da parte della Fed, come accade in questi gironi, manda in

fibrillazione tutti i mercati. Molti Paesi emergenti, già pesantemente

minati da svalutazioni valutarie, temono una fuga di capitali verso il

mercato del dollaro.

Non è un caso che nella seconda metà del 2014 il dollaro si sia

rivalutato del 20% e il prezzo del petrolio sia sceso del 50%. Ci sembra

che si tenti di far passare come normali i grandi rapidi cambiamenti

che incidono profondamente nei rapporti economici internazionali. Nel

frattempo gli investimenti delle imprese sono rimasti deboli,

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nonostante l’esplosione di fusioni e acquisizioni e i riacquisti di azioni

proprie finanziati con emissioni obbligazionarie.

Secondo la Bri i boom finanziari e le cosiddette politiche monetarie

accomodanti hanno determinato a livello globale anche la riduzione del

tasso di crescita della produttività. Si calcola che la perdita della

crescita di produttività media annua sia stata dello 0,4% nel periodo

2004-7 e dello 0,6% nel periodo 2007-13. Ciò sarebbe dovuto alla

distorsione nel mercato del lavoro, dove la perdita di posti qualificati

sarebbe parzialmente rimpiazzata da altri meno qualificati e di settori

diversi. Il lavoro perso nei settori industriali sarebbe quindi in parte

rimpiazzato dal terziario.

Quando la Fed iniziò il QE molti governi, come quello brasiliano e

indiano, denunciarono l’inizio di una “guerra monetaria”. I nuovi

capitali speculativi entrarono nei Paesi emergenti creando bolle non

solo immobiliari, destabilizzando le economie locali. Allora

Washington disse chiaramente che si trattava di una misura, presa nel

proprio interesse nazionale, “alla quale bisognava adeguarsi”. Poi la

successiva decisione della Fed di sospendere il QE provocò

un’ulteriore fuga di capitali e la svalutazione delle monete dei suddetti

Paesi.

Non c’è quindi da stupirsi se la Cina non vuole accettare il gioco e

decide di svalutare in modo competitivo la propria moneta. Sei volte in

un breve lasso di tempo!

Si rischia di nuovo una crisi sistemica, aggravata da interessi e

conflitti nazionali che sembrano sempre più insanabili. Ciò accade

perché, anziché decidere unitariamente in sede di G20, si continua a

ritenere di poter agire da soli mentre i problemi hanno invece una

oggettiva valenza e portata mondiale.

Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/

La Panda rossa

e “Mafia capitale”

Molte cose sono cambiate a Roma da quando, otto mesi fa, i mandati

di cattura della Procura della Repubblica imposero il marchio

‘Mafia-Capitale’ nei titoli e nelle cronache dei media cittadini,

nazionali e del mondo. Sono cambiate nell’amministrazione, nei

partiti della maggioranza e dell’opposizione in Campidoglio e nelle

loro relazioni con i partiti nazionali e il governo, sotto lo sguardo

attento del popolo sovrano che due anni fa aveva già avuto modo di

esprimersi con l’elezione a sindaco di Ignazio Marino.

di Celestino Spada

Le cose sono cambiate anche nei giornali e nelle radio e televisioni

dell’Urbe, come pure nelle pagine romane dei quotidiani nazionali:

tutti impegnati, a dicembre, a dare spazio, voce e corda a un’armata

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Brancaleone di opposizione e pezzi di maggioranza, di interessi lesi o

minacciati, di categorie private e di corpi pubblici, che braccava da

settimane “la Panda rossa del sindaco” in sosta nei vicoli di Roma e

indagava sui permessi di accesso e sui recapiti delle notifiche delle

multe al suo proprietario da parte di incaricati che da mesi non

riuscivano a trovarlo.

Oggi l’aria e il prodotto informativo sono diversi. La manutenzione

delle strade e la raccolta dei rifiuti, lo stato del trasporto pubblico e la

gestione del patrimonio edilizio, i camion-bar a licenza rotante in una

famiglia radicati ai Fori e nel centro storico e il servizio reso sulla

strada e di giorno alla città e ai cittadini dal Corpo dei Vigili Urbani, lo

stato del verde pubblico e degli accessi al mare e alle spiagge di Ostia:

tutte le “emergenze” che travagliano da tempo la vita di chi abita e di

chi viene per lavoro o per svago nella Città Eterna sono divenute negli

ultimi mesi l’oggetto di una particolare “emergenza” informativa.

Servizi – spesso “grandi affreschi dell’orrore” – mai prima così precisi,

e interviste affidate ai più titolati reporter e osservatori e commentatori

nazionali sono venuti quasi ad accrescere il peso dell’interlocuzione e

il valore dell’impegno e del servizio fornito oggi dai media alla città e

al paese.

L’effetto, per chi legge, può risultare anche enciclopedico: la tale

situazione risale agli anni ’60, l’altra agli anni ’80; con lo stato di

quella gestione si misurò negli anni ’90 l’assessore al patrimonio Linda

Lanzillotta, con quello dell’altra il generale dei Carabinieri Mario

Mori. Si scoprono terre incognite, come i contratti (e gli orari) di

lavoro degli addetti alla metropolitana messi a confronto con quelli dei

loro colleghi di Napoli e di Milano, e si torna sulla cornucopia del

“salario accessorio” dei vigili urbani e di altre categorie di lavoratori

comunali che solo il rifiuto del ministero dell’Economia di pagarne gli

oneri ha consentito ai romani di conoscere.

Naturalmente si attinge a piene mani ai materiali delle inchieste

della Procura, fonte-principe e madre, sembra, di ogni notizia e

cognizione circa l’intreccio fra politica, amministrazione e malavita

organizzata, che ha potuto divenire nel corso degli anni il tessuto

connettivo dominante la politica e le sue relazioni con la società civile.

Non mancano, evidentemente, le ripetizioni fra mezzo e mezzo, ma

anche nello stesso giornale, che da mesi “copre” l’inchiesta in corso e i

suoi sviluppi con la seconda retata fra giugno e luglio scorsi: a ribadire

e quasi a scolpire sulla carta e online – e soprattutto nella testa di chi

legge e in genere dei romani – come stanno le cose. Ma con l’effetto,

non si sa quanto indesiderato, di far venire la curiosità di sapere che

cosa abbia almeno percepito di tutto questo, in tanti anni e a Roma,

qualcuno fra i giornalisti delle varie “appartenenze”, e magari fra quelli

che si vogliono “vicini” o contigui o di area di quale che sia il partito o

il politico “di riferimento”.

Di certo in questi anni non è stato a Roma, ma in Calabria nel

maggio 2013, che un giornalista della Stampa di Torino (la città natale

del neo-assessore capitolino Stefano Esposito) ha raccolto

l’indifferenza di un influente cittadino rispetto all’esito delle imminenti

elezioni comunali (“in ogni caso, un comitato di affari a venire”).

Mentre, nel furore informativo e comunicativo di questi mesi, è

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Conchita De Gregorio a riferire un’opinione competente in materia,

intervistando Cristiana Alicata, oggi nel CdA dell’Anas: “Che poi,

guarda: anche fuori della politica, anche nei giornali e nelle istituzioni

private, c’è chi è dentro il sistema” (Repubblica, 16 giugno scorso).

Forse, alle molte manutenzioni, ordinarie e quotidiane, elencate

nell’editoriale del Corriere della sera del 30 luglio, che sono mancate

in questi decenni – e indispensabili, ci viene ricordato, a rendere pulita

e decorosa la vita in una città – è il caso di aggiungere l’informazione.

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia : (ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

Dalla Fondazione Rosselli di Firenze http://www.rosselli.org/

A Bagnoles per i Rosselli

di Valdo Spini

Bagnoles de l’Orne è cambiata. Ma non solo per l’inevitabile scorrere

del tempo. Questa cittadina della Normandia di circa 2.600 abitanti, nei

cui dintorni Carlo e Nello Rosselli furono assassinati dalla Cagoule su

mandato del governo fascista italiano, è sempre un’importante località

termale e turistica (Carlo Rosselli era venuto a curarvi la sua flebite),

solo che le disposizioni amministrative sono cambiate. La maggior

parte dei suoi alberghi (a cominciare dal glorioso Grand Hotel) sono

chiusi o sono diventate residenze, per effetto di nuove normative. Così

sia l’albergo in cui erano scesi Carlo e Marion Rosselli, raggiunti poi

da Nello, l’Hotel Cordier, un edificio di foggia tradizionale normanna,

sia il più imponente Bel Air che lo fronteggiava e da dove componenti

della Cagoule (la sanguinosa organizzazione terroristica di estrema

destra francese che li uccise materialmente), giunti da Parigi, ne

sorvegliavano i movimenti, sussistono ancora, ma sono desolatamente

chiusi. Li abbiamo fotografati, ancora con i loro nomi scritti sui

rispettivi edifici, perché ne rimanga traccia.

E fu proprio dall’Hotel Cordier, che i due fratelli, uscirono il 9

giugno 1937, con la Ford scassata usata da Carlo nella guerra di

Spagna, per portare Marion, moglie di Carlo, alla stazione e farla

rientrare a Parigi in tempo per festeggiare il compleanno del

primogenito, per dirigersi poi ad Alençon, sempre costantemente

sorvegliati dalla Cagoule, che organizzò il sanguinoso agguato sulla

via del ritorno, a pochi chilometri dal rientro a Bagnoles.

A Bagnoles, nessuna indicazione turistica o stradale attira

l’attenzione sulla presenza di un monumento commemorativo posto sul

luogo del delitto, ma la memoria rimane, almeno nei più anziani.

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Entrati in una boulangerie del vicino paesino di Couterne, e chiesto

indicazioni per il monumento, una signora che aspettava il suo turno

per comprare il pane ce lo indicò. E così un cliente del negozio di fiori

dove avevamo comprato le rose che abbiamo depositato ai piedi del

monumento.

Non solo, il corposo volume che viene offerto in vendita nella

principale libreria per chi vuole documentarsi sulla storia del territorio

de l’Orne, ricorda, con qualche inesattezza, ma con netta solidarietà, la

vicenda del delitto[1].

Tuttavia non bisogna farsi illusioni: il tempo può far svanire questi

ricordi se non ne riattiviamo la conoscenza.

Abbiamo ripercorso la strada, ora asfaltata, (all’epoca sterrata), nello

stesso senso dei fratelli Rosselli e a pochi chilometri da Bagnoles,

abbiamo rincontrato la foresta, scelta dalla Cagoule come teatro

dell’azione criminale. Indotti a fermare la loro macchina, i due fratelli

furono uccisi a rivoltellate e a pugnalate da un commando della

Cagoule che agiva su mandato e in contatto diretto con il Servizio

Informazioni Militari del governo fascista italiano.[2]

Come dicevamo prima, nessun cartello annuncia il monumento, che

è però ben tenuto. C’è una siepe ben curata a ferro di cavallo, aperta

verso la strada, da cui, camminando sopra un colorato ghiaino, si

accede al monumento, opera dello scultore di Carlo Sergio Signori

(1949). Nelle fila di Giustizia e Libertà, il movimento antifascista

fondato e guidato da Carlo Rosselli, vi era anche un grande storico

dell’arte, Lionello Venturi, padre dello storico Franco. Fu sotto il suo

impulso che per il monumento si scelse una forma di arte astratta e non

figurativa, fatto piuttosto coraggioso per l’epoca.[3] Il monumento fu

scolpito a Carrara nello studio Nicòli, e di lì partì alla volta della

Francia, salutato alla partenza, tra gli altri, da Ferruccio Parri ed

Ernesto Rossi. Fu inaugurato il 19 giugno 1949 alla presenza dello

stesso Parri e di numerosi esponenti italiani e francesi.

Il monumento è tutto sommato ben tenuto, lindo e pulito. Ai suoi

piedi due coroncine simboleggiano l’omaggio ai due martiri. Avevo

visto il bozzetto del monumento quando, grazie allo studio Nicòli di

Carrara lo avevamo esposto allo Spazio QCR il 9 giugno 2014, in

occasione del 77esimo anniversario. Ma un monumento va visto nel

suo contesto, nel suo posizionamento. E la mia impressione è stata

nettamente positiva. Le due alte steli rappresentano in qualche modo

qualcosa di ancor più duraturo delle stesse immagini. Con lo sfondo

del bosco che servì da cornice al criminale agguato, invitano al

raccoglimento, alla meditazione, alla presa di coscienza. Una tremenda

impressione.

Quella che avrebbe bisogno di una pulitina per ritornare realmente

leggibile è l’iscrizione posta in cima alla stele più alta. Essa suona così:

CARLO ET NELLO ROSSELLI

TOMBES ICI POUR LA JUSTICE

ET LA LIBERTE’

SOUS LE POIGNARD DE LA CAGOULE

PAR ORDRE

DU REGIME FASCISTE

ITALIEN

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L’iscrizione non ha bisogno di alcun commento. Possiamo accostarvi

quella che Piero Calamandrei scrisse per la loro tomba nel cimitero di

Trespiano (Firenze):

CARLO E NELLO ROSSELLI

GIUSTIZIA E LIBERTA’

PER QUESTO VISSERO

PER QUESTO MORIRONO.

A noi sta di non dimenticare, di praticare e di tramandare il loro

ricordo. In tale contesto, dobbiamo dedicare più attenzione a questo

monumento posto in terra di Francia e chiedere che ci siano più

indicazioni, più conoscenza.

[1] A. E. Poëssel. L’Orne et L’histoire, Condé-sur-Noireau, Editions Charles Corlet,

2011,pp.453-4-.

[2] Per la ricostruzione del delitto, per parte italiana, rinviamo al documentatissimo, M.

Franzinelli, Il delitto Rosselli, Milano Mondadori 2007. Per parte francese, al sito

www.persee.fr in cui vi sono numerosi articoli non solo sul delitto, ma anche sugli

echi nell’opinione pubblica francese in generale e della Normandia in particolare.

[3] Cfr. F.A. Nicòli, Il Monumento ai Fratelli Rosselli 1946-49, in “Quaderni del

Circolo Rosselli” , n.3/2014, Pacini Editore, Pisa, pp. 166-174. Vedi Per la

Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, www.rosselli.org

FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/

Io, nipote di profughi

Noi che una patria, per quanto sgangherata, ce l’abbiamo; noi che

una casa, pur modesta, ce l’abbiamo, sforziamoci di provare almeno

un po’ di solidarietà.

di Edoardo Crisafulli

Mia nonna paterna, Edwige Schwartze, mi raccontava spesso la storia

della nostra famiglia: “quand’ero bambina vivevamo in pace in

Transilvania, la nostra Siebenbürgen, nel cuore dell’Impero austro-

ungarico. Eravamo di lingua e cultura tedesca, ma ci sentivamo

ungheresi. Eravamo felici e sereni. Poi deflagrò quell’orribile guerra,

nel 1914. Pochi anni dopo, con la sconfitta degli Imperi centrali, il

nostro mondo crollò. Iniziarono i disordini, e si cominciò a patire la

fame, a noi sconosciuta fino ad allora. La Transilvania venne ceduta

alla Romania, che aveva combattuto contro l’Impero austro-ungarico.

L’Ungheria precipitò nel caos, sembrava che stesse per scoppiare

una rivoluzione. Il bolscevico Bela Kuhn andò al potere, e proclamò la

Repubblica sovietica ungherese. Lì iniziò il nostro calvario. Eravamo

benestanti e perdemmo tutto, dalla mattina alla sera. Vivevamo nel

terrore. Tuo bisnonno Emil fu imprigionato e obbligato ai lavori forzati

dai comunisti ungheresi. Era un borghese, un proprietario terriero, e

andava punito in maniera esemplare. Sottoposto a crudeli privazioni, si

ammalò gravemente. Intanto cominciava un’altra guerra, questa volta

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tra Ungheria, Cecosolovacchia e Romania: Bela Kun, nel 1919,

occupò parte della Slovacchia e tentò di riprendersi la Transilvania. Ma

non ci riuscì. Senza più proprietà e reddito, ora eravamo anche apolidi,

senza patria. In fondo, continuavamo a sentirci ungheresi di etnia

tedesca. Ma l’Ungheria era in mano ai bolscevichi. E la Transilvania

era rumena. Decidemmo di fuggire da una terra che la nostra gente

abitava da secoli. Portammo via con noi poche cose, stipate su un

carretto: qualche mobiletto, qualche ricordo, gli abiti, l’argenteria.

Iniziò così un lungo e terrificante viaggio: il papà era ammalato e la

mamma doveva occuparsi di 6 figli – il più piccolo aveva tre anni, il

più grande dodici. Iniziarono le peregrinazioni nei Balcani, nei

territori di un Impero in disfacimento, dove emergevano gli odi

interetnici a lungo repressi. Subimmo soprusi e crudeltà da parte di

tutti: dai rumeni (in quanto ungheresi), dai serbi (in quanto ‘austriaci’),

dai croati (in quanto protestanti). Finché non arrivammo ad Abbazia,

che era da poco passata all’Italia. La conoscevamo bene perché era una

importante meta turistica come lo è Riccione oggi.

Ci sistemiamo in una pensioncina e non sappiamo più a che santo

votarci. I nostri soldi sono carta straccia. L’argenteria l’abbiamo già

venduta. Papà si aggrava. Mamma ha i nervi a pezzi. I carabinieri

italiani ci hanno appena controllato i nostri documenti. Abbiamo il

batticuore: ci maltratteranno anche loro? Ci cacceranno via anche loro?

Capiamo poco di quel che ci dicono. Ci paiono così strani, con quelle

divise buffe e quell’aria così poco marziale. Guardano i bambini e

confabulano fra di loro. Noi ci stringiamo tutti assieme. Se ne vanno.

Dopo una mezz’oretta si sente bussare alla porta. I carabinieri sono

tornati. Mamma ha un tonfo al cuore. Apre la porta, tenendo la mia

sorellina Ruth in braccio. I carabinieri gesticolano indicando dei

contenitori di latta che hanno con sé. È il latte per i bambini, dicono.

Noi scoppiamo a piangere. È la prima volta che veniamo trattati con

umanità. Poco dopo papà ha una crisi, e viene ricoverato in ospedale.

Sul letto di morte dice a mamma: ‘lasciate perdere l’Austria.

Rifugiatevi in Italia. Sono certo che vi troverete bene. Gli italiani sono

un popolo che ha cuore.”

Se non fosse stato per quell’episodio di generosità io probabilmente

non sarei mai nato. La mia famiglia ungaro-tedesca sarebbe finita a

Vienna, com’era nelle intenzioni iniziali. Mia nonna invece si stabilì in

Italia con tutta la famiglia e sposò un siciliano, così nacque mio padre.

La scelta non fu facile: all’epoca una ragazza ungaro-tedesca, per

giunta protestante, agli occhi di un siciliano appariva esotica quanto

una cinese o una afgana oggi. Mia nonna è rimasta una profuga

nell’animo per tutta la vita. Non ha mai voluto possedere una casa.

Non ha mai smesso di rimpiangere la sua amata Transilvania. Il

dramma dei profughi lo devi toccare con mano, per capirlo. Io l’ho

vissuto attraverso le narrazioni sofferte di mia nonna.

In questi mesi ho letto cose sui profughi da far rabbrividere. ‘Sono

pericolosi. Ci portano malattie infettive’; ‘sono bugiardi, non scappano

da guerre: vengono da noi per farsi mantenere’; ‘si lamentano e poi

hanno tutti il telefonino’; ‘fra loro pullulano i criminali e i terroristi’.

È questo, mi chiedo, lo stesso popolo che accolse la famiglia di mia

nonna negli anni Venti del secolo scorso? Certo, ci sono le migliaia di

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volontari della Caritas e di altre organizzazioni benefiche. Tanti italiani

si rimboccano le maniche, si prodigano e si commuovono alla vista dei

disperati che cercano rifugio in Italia. Ma gli indifferenti sono tanti,

troppi. È la crisi che ha indurito il cuore degli italiani? No, è il

benessere che ci ha resi egoisti. Rispetto ai tempi di mia nonna

abbiamo molto di più eppure siamo disposti a dare molto di

meno. Diciamo che non possiamo permetterci di aiutare gli stranieri, e

poi sprechiamo ogni anno tonnellate di cibo senza battere ciglio; ci

arrabbiamo se i profughi rifiutano un piatto di pasta e osano pretendere

un vitto diverso (cosa dovremmo dar loro, il rancio con un tozzo di

pane secco?) e poi stiamo a nostro agio in una società iper-consumista,

traboccante di beni superflui, che ci invita ogni giorno a sprecare e a

buttare via.

Diciamola una verità scomoda: non è vero che non potremmo

accogliere più profughi. È che non vogliamo farlo. Ecco perché la

destra leghista e xenofoba è riuscita a scatenare una guerra fra poveri: i

disoccupati e i bisognosi italiani contro i profughi e gli immigrati. I

veri miserabili sono coloro che si accaniscono contro gli stranieri, i

diversi per raccattare un pugno di voti. Ignobile il titolo di Libero del

27 agosto 2015. “Ai clandestini i soldi dei disabili”. Dove eravate, cari

leghisti, quando per decenni di vita repubblicana impiegati, docenti,

operai con i loro magri salari finanziavano le scuole e gli ospedali ai

grandi evasori fiscali, tutti italianissimi? C’è una sola grande, vera

ingiustizia sociale nell’Italia d’oggi: i ricchi diventano sempre più

ricchi e i poveri sempre più poveri. E voi che fate? Ve la prendete con i

reietti, con gli ultimi, con i diseredati.

Intendiamoci: non sono un sostenitore dell’etica del Buon

Samaritano a oltranza. Quando la coperta è corta, e tutti vogliono

tirarla dalla loro parte, bisogna fare scelte dolorose. Comprendo

l’amarezza e la delusione del disoccupato italiano che si sente

trascurato dal proprio Stato. Agli italiani onesti, in regola col fisco, va

riconosciuto un diritto di priorità nell’assistenza sociale. Mi pare

sacrosanto. Non possiamo mica accogliere tutti: i migranti economici

(quelli in cerca di lavoro) e i clandestini senza fissa dimora non hanno

il diritto di rimanere in Italia a spese nostre. Ma nei confronti dei

profughi e dei rifugiati politici abbiamo un obbligo morale di

assistenza. Dal mio popolo mi aspetto molto di più. Voi che temete

un’invasione barbarica pensate – almeno per un istante – alle

sofferenze dei poveri disgraziati che fuggono dalle dittature, dalle

violenze. Non vi chiedo di tornare indietro con la memoria a cent’anni

e più fa, quando erano i vostri nonni e bisnonni a emigrare con le

valigie di cartone. A voi, che siete orgogliosi delle radici cristiane

dell’Europa, a voi che inorridite al pensiero che il canto del Muezzin

rimpiazzi il suono delle campane, chiedo uno sforzo mentale in più. Vi

chiedo di dedicare un momento di riflessione ai tanti profughi senza

nome e senza tomba, affogati in mare.

Io, nipote di profughi, non posso dimenticare che senza la generosità

degli italiani non sarei neppure nato. Voglio tramandare questa mia

storia famigliare. Prima di escogitare soluzioni pratiche, prima di

parlare di lotta (giustissima) agli scafisti, intendo testimoniare la

sofferenza e il dolore del profugo, dell’apolide che perde tutto – a volte

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anche la sua stessa vita – per scappare da guerre e rivoluzioni che non

ha scatenato e che lo hanno travolto. Noi che una patria, per quanto

sgangherata, ce l’abbiamo; noi che una casa, pur modesta, ce

l’abbiamo, sforziamoci di provare almeno un po’ di solidarietà.

Revisione costituzionale del Senato

Alcune gravi criticità

di Felice Besostri

Una revisione costituzionale ampia, come quella di cui si discute, fatta

da un Parlamento, la cui composizione è stata dichiarata

incostituzionale, avrebbe dovuto richiedere un confronto ampio per

trovare un consenso almeno superiore ai 2/3. Non per evitare il

referendum confermativo, poiché una delle norme da cambiare era

proprio quella che lo escludeva in presenza di questo quorum. Il Patto

del Nazareno non bastava. In ogni caso è nella discussione pubblica

che si assumono gli impegni e non in segrete stanze senza un testo

scritto da mostrare urbi et orbi.

Ora i nodi stanno giungendo al pettine e chi vuole la riforma ad ogni

costo non può, per ragioni di dignità politica propria, contare su

profughi o transfughi allo scopo di ottenere una risicata maggioranza.

L'accordo sul superamento del bicameralismo paritario è vasto e quindi

la "revisione", non chiamiamola riforma per rispetto di questa parola,

avrebbe potuto procedere spedita.

Sulla linearità e trasparenza del processo di revisione costituzionale

e della parallela nuova legge elettorale avrebbero dovuto vigilare il

Presidente della Repubblica e la Presidenza delle due Camere. Così

non è stato. Anzi si sono commessi strappi regolamentari che

configurano in quest'ambito un modo di procedere, comunque,

politicamente sbagliato.

Ora siamo in zona Cesarini e le posizioni appaiono chiare, nel senso

che le decisioni sono politiche e non di natura regolamentare. Ciò si dà

grazie anche a un illustre precedente, relativo ad una norma

costituzionale delicata come l'art. 68; questo precedente risale al 1993

quando la Camera era presieduta da Giorgio Napolitano e il Senato da

Giovanni Spadolini.

Nel quadro attuale alcuni problemi appaiono difficili, ma non

impossibili da eliminare come lo squilibrio numerico tra Camera e

Senato (630 vs 100), che non sarebbe ovviato neppure con un'elezione

diretta della seconda Camera. Quello che non va è l'ambiguità senza

precedenti della natura del Senato, inammissibile in un paese che

storicamente proprio in un Senato, quello romano, ha avuto un organo

collegiale di esercizio e controllo del potere.

Così come configurato, il Senato non è l'espressione tipica degli

Stati federali, né nella forma dell'elezione diretta in numero uguale da

parte della popolazione dei soggetti federati (Stati Uniti,

Confederazione Elvetica), né di rappresentanza degli esecutivi dei

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soggetti federati (Bundesrat tedesco), men che meno un corpo

legislativo rappresentativo del sistema delle autonomie (Senato

francese). Il Senato francese è eletto indirettamente da una platea vasta

di amministratori locali, dipartimentali e regionali, nonché dai deputati:

150.000 grandi elettori e non un migliaio di consiglieri regionali che si

nominano tra di loro in un collegio ristretto. Altra caratteristica del

Senato francese è che i 321 senatori sono eletti per 6 anni, mentre i 577

deputati per cinque. Un organo stabile e quindi autorevole e non

l'albergo a ore del futuro Senato italiano. Altra anomalia: per il nostro

art. 114 Cost. sono parti costitutive della Repubblica, oltre che lo Stato,

i comuni, le provincie, le città metropolitane e le Regioni, quest'ultime

senza essere gerarchicamente sovraordinate alle altre. Non si

comprende per quale ragione i consiglieri regionali debbano scegliere i

sindaci e non quest'ultimi i consiglieri regionali da mandare in Senato;

i sindaci sono sicuramente più rappresentativi.

Nell'ottica di un Senato delle autonomie, nessuno è stato in grado di

spiegare per quale ragione gli unici soggetti esclusi a priori saranno i

sindaci metropolitani che si facessero eleggere direttamente dai

cittadini. Non è un caso che nell'ultima tornata amministrativa dei

consiglieri regionali si siano fatti eleggere sindaci di comuni sotto i

5.000 e perciò compatibili. Il primo cittadino di Milano non potrebbe

andare in Senato nemmeno un giorno alla settimana, diversamente da

quello di un comune minore. Tuttavia questi sindaci di comuni minori

non potrebbero assumere funzioni di rilievo in Senato, inibiti da una

norma che demanda al futuro Regolamento di stabilire incompatibilità

con incarichi esecutivi di Comuni e Regioni.

Ci si dimentica inoltre, che i consiglieri regionali sono e saranno

eletti con leggi maggioritarie con premi di maggioranza che variano da

un 55% ad un 61% e con soglie di acceso che raggiungono anche il

10%. Non rappresentano quindi la popolazione della loro regione né i

Governi regionali, perché tra i Senatori hanno diritto di entrare, non è

chiaro se in proporzione ai voti o ai seggi, anche consiglieri di

minoranza. Conseguenza prevedibile: in tale contesto non potrà essere

abolita la Conferenza Stato- Regioni.

Quindi, prima di pasticciare l'elezione del futuro Senato occorre

chiarirsi sulla natura e funzione della seconda Camera.

La proposta di un listino di consiglieri da far votate dagli elettori,

anche se non bloccato, non è una mediazione seria: una pezza (tacòn)

peggio del buso.

Comunque, va colto un elemento positivo: la generale presa di

coscienza che il ddl costituzionale va cambiato.

ALCUNE STRALCI DA LETTERE DI

BUON COMPLEANNO AL COOPI

Auguri - Auguri al Coopi! Buon compleanno e buon lavoro!

A.G., e-mail

<>

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Un abbraccio - Che bella festa d'anniversario! Vi penserò. Un

abbraccio.

E.S., Pavia

<>

Mi felicito per la vostra iniziativa - Mi felicito per la vostra

iniziativa, che mi sembra molto interessante, tesa com'è a richiamare le

origini del Coopi zurighese.

A.L., e-mail

<>

A tutti gli amici del Coopi… A tutti gli amici del Coopi auguro

un buon esito della manifestazione che, ne sono certo, avrà un ottimo

impatto…

G.M., e-mail

<>

Un augurio zimmerwaldiano - Zimmerwald potrebbe essere una

occasione non semplicemente per rievocare il passato ma per

interrogarci sul futuro dell'idea di socialismo…

V.A., Roma

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.