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La Newsletter settimanale del 3 settembre 2015
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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano
> > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < <
e-Settimanale - inviato oggi a 44203 utenti - Zurigo, 3 settembre 2015
Per disdire / unsubscribe / e-mail > [email protected] Per iscrivervi inviateci p.f. il testo: "includimi" a: ADL Edizioni In caso di trasmissioni doppie inviateci p.f. il testo: "doppio" a: ADL Edizioni
Matinée il 13 settembre a Zurigo
110mo anno
del Cooperativo
Il Coopi di Zurigo, storico locale dell’emigrazione socialista
compie 110 anni e promuove una matinée dedicata alla
musica, alla letteratura e alla riflessione politica.
Due attori di talento – Egon Fässler ed Enzo Scanzi –
interpreteranno, in italiano e in tedesco, un’intensa antologia
tratta da Nonna Adele, grande romanzo di Ettore Cella-
Dezza ambientato nella Zurigo del Cooperativo durante i
primi decenni del XX secolo.
Enzo Scanzi, Egon Fässler
Il quartetto d’archi Weshalb Forellen – formato da Mario
Huter (Violino), Monika Camenzind (Violino), Nicole Hitz
(Viola) e Martin Birnstiel, (Violoncello) – eseguirà
variazioni su motivi della tradizione popolare italiana con
incursioni nel mondo del tango argentino: imperdibile!
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Il Weshalb Forellen Quartett
Nello spirito pacifista della Conferenza di Zimmerwald (che
proprio cento anni fa ebbe il Coopi e la “cooperatrice”
Angelica Balabanoff tra i suoi promotori) interverranno per
un indirizzo di saluto Esther Maurer, Luciano Ferrari e
Felice Besostri, offrendo elementi di riflessione sul
complesso momento politico attuale.
Angelica Balabanoff
(Černigov, 7.5.1878 – Roma, 25.11.1965)
Esther Maurer, municipale emerita di Zurigo, è coordinatrice
nazionale di SolidarSuisse, organizzazione no profit attiva in
14 paesi con cinquanta progetti finalizzati a promuovere
l’aiuto umanitario, la dignità del lavoro e una vasta
partecipazione democratica.
Esther Maurer
Luciano Ferrari ha diretto per lunghi anni la redazione
internazionale del Tages Anzeiger, il maggiore quotidiano
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elvetico; è segretario generale vicario e coordinatore politico
della segreteria nazionale del Partito Socialista Svizzero.
Luciano Ferrari
Felice Besostri, giurista costituzionalista ed esperto di
politica internazionale, è Presidente della Rete Socialista per
il Socialismo Europeo, già Senatore della Repubblica e
membro del Consiglio d’Europa nonché presidente
dell’Assemblea Parlamentare della Iniziativa Centro
Europea.
Felice Besostri
L’incontro, aperto al pubblico, avrà luogo domenica 13
settembre 2015, dalle ore 10.15, nella sala da pranzo del
Ristorante Cooperativo tra gli splendidi capolavori di Mario
Comensoli.
Cooperativo – St. Jakobstrasse 6 – 8004 Zürich
Alle ore 12.30 sarà offerto un buffet.
Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24). L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.
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Da moked/מוקד - il portale dell'ebraismo italiano -
Le sinagoghe europee
contro l’indifferenza
Di fronte al marchio impresso in territorio europeo a decine di
profughi che cercano di mettersi in salvo dalla realtà in fiamme dei
loro luoghi d’origine non basta lo sdegno, serve una reazione forte e
unitaria. Lo ha affermato il Presidente dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane Renzo Gattegna commentando le notizie
provenienti dalla Repubblica Ceca e annunciando l’intento di
sollecitare un’ampia mobilitazione della società civile proprio in
occasione della Giornata europea della cultura ebraica che si svolge
questa domenica 6 settembre.
Aylan, annegato a 3 anni mentre tentava
di raggiungere l’isola di Kos (Europa)
Il tradizionale appuntamento in cui le sinagoghe e le istituzioni
ebraiche aprono le porte a tutta la cittadinanza non a caso pone
quest’anno al centro dell’attenzione la necessità di costruire i ponti del
dialogo e della solidarietà e di abbattere i muri dell’isolamento e della
discriminazione.
“I segnali registrati in queste drammatiche ore che ci arrivano dalla
Repubblica Ceca – commenta il presidente UCEI – dove decine di
profughi sono stati letteralmente marchiati come fossero bestiame al
macello, richiamando inevitabilmente il periodo più oscuro della storia
contemporanea, sono soltanto l'ultimo di una serie di inquietanti
accadimenti contro i quali ferma deve sentirsi la voce di tutte le società
civili e progredite. È un fatto gravissimo quello che si registra in queste
ore. Come gravissima è l'immagine di un'Europa che appare sempre
più fragile e incapace di affrontare le sfide che la investono". “Serve
una reazione forte e unitaria - aggiunge Gattegna - ed è necessario che
le realtà ebraiche mettano a disposizione di tutti la loro esperienza di
amore per la convivenza e per la diversità, di tutela identitaria, di
rigoroso rispetto per i diritti civili e le esigenze dei più deboli. Perché il
nostro futuro, il futuro dei valori in cui crediamo e in cui ci
riconosciamo, mai come adesso è posto a rischio”.
“La Storia – conclude Gattegna - ci ha insegnato che l'indifferenza
non è una scelta accettabile”.
Sullo stesso argomento da registrare anche una presa di posizione
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della Presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello: “Le
informazioni che arrivano dal confine tra l’Austria e la Repubblica
Ceca – afferma - sono inaccettabili. Gli agenti stanno segnando con un
numero sul braccio tutti i rifugiati. È un’immagine che non possiamo
sopportare, che riporta alla mente le procedure d’ingresso ai campi di
sterminio nazisti, quando milioni di uomini, donne e bambini venivano
marchiati con un numero, come animali, per poi essere mandati a
morire. Dopo 70 anni da quell’orrore non possiamo restare indifferenti
di fronte a una procedura disumana e chi rimarrà in silenzio rischierà di
essere complice di questi fatti. È ora che l’Europa capisca che il
fenomeno dell’immigrazione, seppur complesso, non può essere
affrontato con metodi repressivi e offensivi della dignità umana.
L’accoglienza prima e l’integrazione dopo sono le politiche su cui i
governi devono lavorare. Se continueremo ad assistere indifferenti a
scene come quelle di oggi allora l’anima dell’Europa nata dalle ceneri
di Auschwitz sarà svuotata di ogni suo valore fondamentale”.
Vai al sito di moked
SPIGOLATURE
Siamo a un passo
Se permettiamo che lungo un'autostrada
della civile Europa dei lumi…
di Renzo Balmelli
ORRORE. Se permettiamo che lungo un'autostrada della civile
Europa, l'Europa dei lumi che nella circostanza è apparsa in tutta la sua
impotenza, si consumi l'orrore del TIR della morte, siamo a un passo
dallo sgretolamento dei valori, conquistati negli anni con tanta fatica,
attorno ai quali fa perno la storia del nostro continente. Se uomini,
donne e bambini muoiono come si moriva nelle camere a gas,
asfissiati, il volto sfigurato dal terrore, sulle lapidi senza nome e senza
pace di questa Spoon River della disperazione, scriveremo soltanto
epitaffi privi di senso. In un sussulto di compassione, possiamo solo
sperare che lo sgomento serva almeno ad aprirci gli occhi, troppo
spesso distratti dall'indifferenza. Sempre che non sia troppo tardi.
MIGRANTI. Litigiosa e disorganizzata, l'UE non ha una strategia ne
soluzioni per affrontare la peggiore tragedia umanitaria del secolo. Ad
approfittarne sono i mercanti di uomini, schiavisti senza cuore dell'era
moderna, e gli spacciatori della demagogia e della paura che ovunque
lucrano consensi elettorali speculando sugli istinti più riposti.
Sull'autotreno abbandonato in Austria la scritta campale offriva " carne
genuina", ultimo oltraggio ai migranti, alle vittime della follia umana,
finanche costretti a pagare per un esodo che non di rado conduce a una
fine atroce. Questa non è l'Europa pensata dai padri fondatori, ma che
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potrebbe diventarlo se l'egoismo sarà più forte della solidarietà, se al
posto del multiculturalismo imboccheremo la deriva del multi
razzismo.
FUGA. Che la Siria, l'Irak, l 'Afghanistan e la Libia, col concorso di
sciagurate politiche locali e internazionali, sia il crogiolo di mille
prevaricazioni è un fatto incontrovertibile. Credere però che il
radicalismo dell'ISIS offra la risposta al bisogno di riscatto delle
popolazioni colpite dai soprusi è una interpretazione priva di senso.
L'affronto fatto alla " sposa del deserto" come viene soprannominata
Palmira non ha nulla di minimamente paragonabile al mirabile affresco
di Pellizza da Volpedo sul Quarto Stato e il progresso della condizione
umana. Come evolverà il Califfato è tutto da verificare, ma quel che è
certo è che finora dal suo teatro operativo si è messa in marcia una
fuga di proporzioni bibliche.
ETICHETTE. Fa sorridere l'ossimoro del "capitalismo comunista"
ripescato dagli ammuffiti sepolcri della guerra fredda quasi a volere
farci credere che la crisi cinese e il terremoto borsistico di Shanghai
abbiano una specifica matrice ideologica e non siano invece, come è
già accaduto in occidente, il frutto di speculazioni azzardate.
Indifferente alle etichette il capitalismo d'assalto sotto ogni latitudine
ha un solo scopo: accumulare ricchezze senza guardare in faccia a
nessuno, neanche a Mao. Alcuni, pochi, hanno tutto, gli altri nulla.
Questa è la semplice morale di una disavventura finanziaria come ce
ne saranno altre sotto il segno dell'avidità.
SCANDALO. Nella Roma di Cinecittà, tanto amata dai registi, è
diventato un copione maledettamente reale lo sfregio inferto dal
funerale mafioso all'orgoglio della millenaria caput mundi e
all'immagine, di cui andare meno fieri, dello stato e delle sue leggi,
usciti vistosamente ammaccati dalla plateale provocazione. Sebbene il
clamore mediatico, forse per non dilatare l'imbarazzo, sia andato
scemando, resta la gravità di un episodio che al di la della pacchiana
esibizione, mostra fino a che punto gli intrecci criminosi possano
infiltrarsi nei gangli della società dando vita a un potere parallelo che
soffoca la vita quotidiana e deturpa questi luoghi di incomparabile
bellezza.
IDEALISTA. Con lui in Italia il patto del Nazareno non sarebbe mai
nato. A 66 anni l'inglese James Corbyn, astro nascente dei laburisti, "
idealista puro e duro" come ama definirsi, si dichiara nemico giurato
dei compromessi che guastano l'anima del socialismo. Con
l'entusiasmo di un neofita, Corbyn, amatissimo dai giovani che ne
apprezzano il rigore e l'onestà, si accinge a scalare i vertici del partito
da troppo tempo a secco di vittorie. L'ondata di sostegno a favore di
Corbyn ha però messo in crisi "l'establishment" del Labour Party che
considera l'eventuale svolta a sinistra dell'arzillo rivoluzionario un
regalo insperato per i conservatori. Boh!
LEGGENDA. In questi giorni non c'era televisione che per celebrare i
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100 anni della nascita di Ingrid Bergman non avesse in palinsesto la
diffusione di Casablanca, il film di Michael Curtiz girato nel 1942 che
ha resistito al passare delle mode senza mai invecchiare. Il fascino
della pellicola, che oltre alla Bergam si avvale anche di altri grandi
attori tra cui Humphrey Bogart, risiede nelle capacità di mescolare il
melodramma, la resistenza e l'amicizia al clima di un'epoca in cui
l'identificazione del male, impersonato dai nazisti, non si prestava a
equivoci. Al di la dei cliché esotici, è la commozione del "Suonala
ancora Sam" che ha consegnato Casablanca alla leggenda.
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia : (ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana
LAVORO E DIRITTI
a cura di www.rassegna.it
Quando la democrazia rientrò in fabbrica
2 settembre 1943, a poche ore dalla firma dell’armistizio con gli
alleati anglo-americani, Bruno Buozzi firma con gli industriali
italiani un accordo interconfederale per il ripristino delle
Commissioni interne, storici organismi di rappresentanza operaia.
di Ilaria Romeo Responsabile Archivio storico Cgil nazionale
2 settembre 1943: poche ore prima della firma dell’armistizio con gli
alleati anglo-americani, Bruno Buozzi firma con gli industriali un
importante accordo interconfederale per il ripristino delle Commissioni
interne. L’accordo (il cosiddetto patto Buozzi-Mazzini) reintroduce nel
campo delle relazioni industriali l’organo di rappresentanza unitaria di
tutti i lavoratori, impiegati e operai nelle aziende con almeno 20
dipendenti, attribuendogli anche poteri di contrattazione collettiva a
livello aziendale.
Già prima della caduta di Mussolini, avvenuta il 25 luglio 1943 in
seguito al voto del Gran consiglio del fascismo, settori importanti delle
classi lavoratrici del nord erano tornati a scioperare contro il regime
nel marzo-aprile 1943. Con l’arresto di Mussolini, il nuovo governo
Badoglio aveva deciso di commissariare le vecchie strutture sindacali
fasciste: Bruno Buozzi era stato nominato nuovo commissario dei
sindacati dell’industria; all’agricoltura era stato designato Achille
Grandi, mentre a Giuseppe Di Vittorio era stata affidata
l’organizzazione dei braccianti.
I tentativi di costituzione e per il riconoscimento di fatto delle
Commissioni interne hanno inizio con il nascere stesso del movimento
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operaio. Di esse si hanno più frequenti notizie intorno al 1900: in
questo primo periodo però erano senza organi stabili, poiché venivano
nominate in occasione di agitazioni o di scioperi come delegazioni
operaie per le trattative con il datore di lavoro.
Il termine Commissione interna si trova per la prima volta usato
all’interno dell’accordo Itala-Fiom, firmato a Torino nel 1906 (°).
Appena due anni dopo, nel marzo 1908, la Lega Industriale dirama – si
legge su “l’Avanti!” – un gruppo di “suggerimenti” alle direzioni delle
industrie da utilizzare come base per un’azione comune verso gli
operai organizzati. Il primo dei “suggerimenti” riguarda, appunto,
“l’abolizione delle Commissioni interne”. Quattro anni dopo, nel 1912,
le Commissioni interne vengono effettivamente abolite per legge. Ma
risorgono nel 1913.
La fine della guerra del 1914-18 trova il movimento delle
Commissioni interne notevolmente esteso e proteso verso un
allargamento dei suoi compiti e delle sue funzioni sul terreno
economico. Scrive Antonio Gramsci su “L’Ordine Nuovo” l’anno
successivo alla sconfitta degli imperi centrali: “L’esistenza di una
rappresentanza operaia all’interno delle officine dà ai lavoratori la
diretta responsabilità della produzione, li conduce a migliorare il loro
lavoro, instaura una disciplina cosciente e volontaria, crea la psicologia
del produttore, del creatore di storia”.
Le Commissioni interne, scrive ancora Gramsci su “L’Ordine
Nuovo” del 21 giugno 1919, “sono organi di democrazia operaia che
occorre liberare dalle limitazioni imposte dagli imprenditori, e ai quali
occorre infondere vita nuova ed energia. Oggi le Commissioni interne
limitano il potere del capitalista nella fabbrica e svolgono funzioni di
arbitrato e di disciplina. Sviluppate ed arricchite, dovranno essere
domani gli organi di potere proletario che sostituisce il capitalista in
tutte le sue funzioni utili di direzione e di amministrazione”.
L’avvento del fascismo arresta però lo sviluppo di questi organi di
rappresentanza: il 2 ottobre 1925 l’articolo 4 del Patto di Palazzo
Vidoni sancisce: “Le Commissioni interne di fabbrica sono abolite e le
loro funzioni demandate al sindacato (fascista) locale”. Restituite con
l’accordo Buozzi-Mazzini del 2 settembre 1943, le Commissioni
interne ricevono una nuova regolamentazione con l’accordo del 7
agosto 1947 tra la Cgil e Confindustria e con l’accordo
interconfederale dell’8 maggio 1953 (l’ultimo accordo interconfederale
sulle commissioni interne è del 18 aprile 1966 e ancora oggi è
formalmente in vigore).
Il 29 marzo 1955 a Torino, per la prima volta la Cgil è messa in
minoranza nelle elezioni per le Commissioni interne alla Fiat. Il
successivo 10 aprile afferma sul “Lavoro” un lucido e coraggioso
Giuseppe Di Vittorio: “Sui sorprendenti risultati delle recenti elezioni
delle Commissioni Interne del complesso Fiat si è concentrata
l’attenzione di tutto il Paese. Questo è un fatto positivo, in quanto può
contribuire a far conoscere largamente al Paese il clima di dispotismo e
di ricatti padronali instaurato alla Fiat e in molte altre aziende,
determinando condizioni più favorevoli allo sviluppo della lotta per il
rispetto dei diritti democratici e della dignità dei lavoratori nei luoghi
di lavoro”.
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“Sarebbe tuttavia un grave errore – continua Di Vittorio nello stesso
articolo – se noi, individuando e denunciando l’azione illegale e
ricattatoria del grande padronato, sottovalutassimo la gravità del colpo
inferto alla Fiom e alla Cgil nelle recenti elezioni della Fiat; se noi,
cioè, tentassimo di scagionare ogni nostra responsabilità nella
sconfitta. Ciò non sarebbe degno di una grande organizzazione come la
Cgil, la quale affonda le sue radici in tutta la gloriosa tradizione del
movimento sindacale italiano, ne rappresenta la continuità storica ed ha
tutto l’avvenire davanti a sé” (leggi tutto).
Scriverà qualche anno più tardi Rinaldo Scheda nel suo diario
personale (inedito e conservato presso l’Archivio storico della Cgil
nazionale): “(…) Di Vittorio mi aveva colpito in tante fasi della sua
vita sindacale. Ci sono però due episodi che mi rimarranno impressi
nel tempo che mi resta da campare (…)”. Uno dei due, ricostruisce il
sindacalista bolognese – segretario confederale della Cgil dal 1957 al
1979 – “si verificò in una riunione del Comitato direttivo confederale
svoltasi a Roma al primo piano della sede di Corso Italia. È una
riunione che fece scalpore. La lista della Fiom per la nomina della
Commissione interna alla Fiat aveva subito una dura sconfitta. (…) La
relazione di Di Vittorio espose le ragioni, le cause di quello smacco.
Conoscevo ormai in quel periodo la sua personalità. Le luci e anche
alcune ombre. Per esempio sapevo che il sottoporre il suo lavoro ad un
esame autocritico gli costava una certa fatica. Era un comportamento
che derivava dalla sua forte personalità. Quella relazione la ricordo
ancora oggi, a tanti anni di distanza, come una pagina esemplare, una
lezione di vita”.
o Il 3 dicembre 1906: viene firmato ufficialmente a Torino il contratto collettivo tra la
Società automobilistica Itala e la Fiom. Si tratta di uno dei primi significativi esempi
di accordo collettivo in Italia. Esso sancisce il riconoscimento delle Commissioni
interne, dei minimi salariali, delle 10 ore giornaliere (su 6 giorni settimanali), della
clausola del “closed shop” per l’assunzione dei lavoratori iscritti al sindacato, il
quale funge da ufficio di collocamento.
Economia
Si ritorna a temere una crisi sistemica
di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)
e Paolo Raimondi, Economista
La vertiginosa altalena sulle borse internazionali sta mettendo di nuovo
in discussione la tenuta del sistema finanziario globale.
Non è l’effetto a catena del raffreddamento dell’economia cinese e
la conseguente caduta dei listini di Shanghai, come molti, con una
certa dose di opportunismo, vorrebbero spiegare. Si comincia invece a
raccogliere i “frutti velenosi” seminati dai “quantitative easing” della
Federal Reserve, della Bce e di altre banche centrali. Sta accadendo ciò
che paventammo tempo fa su questo giornale.
Le eccezionali immissioni di nuova liquidità da parte delle banche
centrali, per parecchie migliaia di miliardi di dollari, sono andate a
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gonfiare a dismisura i propri bilanci, a salvare le banche too big to fail
in crisi e a rischio bancarotta, a comprare nuovi titoli di Paesi con
crescenti debiti pubblici e a gonfiare i listini delle varie borse.
Tanta nuova liquidità aveva fatto temere una immediata esplosione
inflazionistica. I grandi “gestori della crisi” sono invece stati capaci di
“pilotarla” verso le borse che hanno immediatamente portato le loro
quotazioni agli stessi livelli stratosferici di prima del 2007. Senza
legame alcuno con l’economia sottostante in recessione.
L’inflazione in verità c’è stata, non sui prezzi ma sui valori
borsistici!
Lo sottolinea anche la Banca dei Regolamenti Internazionali quando
dice che “ Nonostante tutti gli sforzi per uscire dal cono d’ombra della
crisi finanziaria, le condizioni dell’economia mondiale sono ancora
lontane dalla normalità. L’accumulo di indebitamento e rischi
finanziari, la dipendenza dei mercati finanziari dalle banche centrali e
il persistere di tassi di interesse bassi: tutto questo sembra diventato
ordinario. Ma solo perché qualcosa è ordinario non significa che sia
normale.”
Se una malattia diventa ordinaria, cronica, non significa guarigione
ne un miglioramento dello stato di salute.
I tassi di interesse negativi praticati dalle banche centrali stanno
causando nuovi seri rischi finanziari. Nei primi 5 mesi dell’anno titoli
di debito sovrano per oltre 2.000 miliardi di dollari sono stati scambiati
a tassi negativi. Ciò ha indotto banche e grandi operatori finanziari a
ricercare “l’azzardo morale” del rischio.
Per mantenere i loro impegni, a livello internazionale le
assicurazioni sono in cerca di rendimenti alti anche se più rischiosi. La
quota di titoli in loro possesso con rating inferiore alla A dal 2007 al
2013 è passata dal 20 al 30% del totale. Anche i fondi di investimento
giocano un ruolo più aggressivo sui mercati. Già nel 2013 i mercati dei
capitali e i fondi di gestione sono raddoppiati nel giro di 10 anni e
manovrano 75.000 miliardi di dollari, accentuando una notevole
concentrazione tanto che oggi 20 fondi controllano il 40% del mercato.
La dipendenza dei mercati finanziari dalle banche centrali e dalle
loro decisioni è cresciuta pericolosamente. Esse detengono il 40% di
tutti i titoli pubblici denominati nelle valute principali. Come
dimostrano gli ultimi avvenimenti borsistici esse sono diventate i
principali attori del mercato, non solo attraverso la fornitura di liquidità
ma anche attraverso gli acquisti diretti di titoli e azioni. E’ una
distorsione che rivela la irrilevanza delle politiche dei vari governi
rispetto alle autorità monetarie.
Si consideri che la semplice possibilità di un aumento del tasso di
interesse da parte della Fed, come accade in questi gironi, manda in
fibrillazione tutti i mercati. Molti Paesi emergenti, già pesantemente
minati da svalutazioni valutarie, temono una fuga di capitali verso il
mercato del dollaro.
Non è un caso che nella seconda metà del 2014 il dollaro si sia
rivalutato del 20% e il prezzo del petrolio sia sceso del 50%. Ci sembra
che si tenti di far passare come normali i grandi rapidi cambiamenti
che incidono profondamente nei rapporti economici internazionali. Nel
frattempo gli investimenti delle imprese sono rimasti deboli,
11
nonostante l’esplosione di fusioni e acquisizioni e i riacquisti di azioni
proprie finanziati con emissioni obbligazionarie.
Secondo la Bri i boom finanziari e le cosiddette politiche monetarie
accomodanti hanno determinato a livello globale anche la riduzione del
tasso di crescita della produttività. Si calcola che la perdita della
crescita di produttività media annua sia stata dello 0,4% nel periodo
2004-7 e dello 0,6% nel periodo 2007-13. Ciò sarebbe dovuto alla
distorsione nel mercato del lavoro, dove la perdita di posti qualificati
sarebbe parzialmente rimpiazzata da altri meno qualificati e di settori
diversi. Il lavoro perso nei settori industriali sarebbe quindi in parte
rimpiazzato dal terziario.
Quando la Fed iniziò il QE molti governi, come quello brasiliano e
indiano, denunciarono l’inizio di una “guerra monetaria”. I nuovi
capitali speculativi entrarono nei Paesi emergenti creando bolle non
solo immobiliari, destabilizzando le economie locali. Allora
Washington disse chiaramente che si trattava di una misura, presa nel
proprio interesse nazionale, “alla quale bisognava adeguarsi”. Poi la
successiva decisione della Fed di sospendere il QE provocò
un’ulteriore fuga di capitali e la svalutazione delle monete dei suddetti
Paesi.
Non c’è quindi da stupirsi se la Cina non vuole accettare il gioco e
decide di svalutare in modo competitivo la propria moneta. Sei volte in
un breve lasso di tempo!
Si rischia di nuovo una crisi sistemica, aggravata da interessi e
conflitti nazionali che sembrano sempre più insanabili. Ciò accade
perché, anziché decidere unitariamente in sede di G20, si continua a
ritenere di poter agire da soli mentre i problemi hanno invece una
oggettiva valenza e portata mondiale.
Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/
La Panda rossa
e “Mafia capitale”
Molte cose sono cambiate a Roma da quando, otto mesi fa, i mandati
di cattura della Procura della Repubblica imposero il marchio
‘Mafia-Capitale’ nei titoli e nelle cronache dei media cittadini,
nazionali e del mondo. Sono cambiate nell’amministrazione, nei
partiti della maggioranza e dell’opposizione in Campidoglio e nelle
loro relazioni con i partiti nazionali e il governo, sotto lo sguardo
attento del popolo sovrano che due anni fa aveva già avuto modo di
esprimersi con l’elezione a sindaco di Ignazio Marino.
di Celestino Spada
Le cose sono cambiate anche nei giornali e nelle radio e televisioni
dell’Urbe, come pure nelle pagine romane dei quotidiani nazionali:
tutti impegnati, a dicembre, a dare spazio, voce e corda a un’armata
12
Brancaleone di opposizione e pezzi di maggioranza, di interessi lesi o
minacciati, di categorie private e di corpi pubblici, che braccava da
settimane “la Panda rossa del sindaco” in sosta nei vicoli di Roma e
indagava sui permessi di accesso e sui recapiti delle notifiche delle
multe al suo proprietario da parte di incaricati che da mesi non
riuscivano a trovarlo.
Oggi l’aria e il prodotto informativo sono diversi. La manutenzione
delle strade e la raccolta dei rifiuti, lo stato del trasporto pubblico e la
gestione del patrimonio edilizio, i camion-bar a licenza rotante in una
famiglia radicati ai Fori e nel centro storico e il servizio reso sulla
strada e di giorno alla città e ai cittadini dal Corpo dei Vigili Urbani, lo
stato del verde pubblico e degli accessi al mare e alle spiagge di Ostia:
tutte le “emergenze” che travagliano da tempo la vita di chi abita e di
chi viene per lavoro o per svago nella Città Eterna sono divenute negli
ultimi mesi l’oggetto di una particolare “emergenza” informativa.
Servizi – spesso “grandi affreschi dell’orrore” – mai prima così precisi,
e interviste affidate ai più titolati reporter e osservatori e commentatori
nazionali sono venuti quasi ad accrescere il peso dell’interlocuzione e
il valore dell’impegno e del servizio fornito oggi dai media alla città e
al paese.
L’effetto, per chi legge, può risultare anche enciclopedico: la tale
situazione risale agli anni ’60, l’altra agli anni ’80; con lo stato di
quella gestione si misurò negli anni ’90 l’assessore al patrimonio Linda
Lanzillotta, con quello dell’altra il generale dei Carabinieri Mario
Mori. Si scoprono terre incognite, come i contratti (e gli orari) di
lavoro degli addetti alla metropolitana messi a confronto con quelli dei
loro colleghi di Napoli e di Milano, e si torna sulla cornucopia del
“salario accessorio” dei vigili urbani e di altre categorie di lavoratori
comunali che solo il rifiuto del ministero dell’Economia di pagarne gli
oneri ha consentito ai romani di conoscere.
Naturalmente si attinge a piene mani ai materiali delle inchieste
della Procura, fonte-principe e madre, sembra, di ogni notizia e
cognizione circa l’intreccio fra politica, amministrazione e malavita
organizzata, che ha potuto divenire nel corso degli anni il tessuto
connettivo dominante la politica e le sue relazioni con la società civile.
Non mancano, evidentemente, le ripetizioni fra mezzo e mezzo, ma
anche nello stesso giornale, che da mesi “copre” l’inchiesta in corso e i
suoi sviluppi con la seconda retata fra giugno e luglio scorsi: a ribadire
e quasi a scolpire sulla carta e online – e soprattutto nella testa di chi
legge e in genere dei romani – come stanno le cose. Ma con l’effetto,
non si sa quanto indesiderato, di far venire la curiosità di sapere che
cosa abbia almeno percepito di tutto questo, in tanti anni e a Roma,
qualcuno fra i giornalisti delle varie “appartenenze”, e magari fra quelli
che si vogliono “vicini” o contigui o di area di quale che sia il partito o
il politico “di riferimento”.
Di certo in questi anni non è stato a Roma, ma in Calabria nel
maggio 2013, che un giornalista della Stampa di Torino (la città natale
del neo-assessore capitolino Stefano Esposito) ha raccolto
l’indifferenza di un influente cittadino rispetto all’esito delle imminenti
elezioni comunali (“in ogni caso, un comitato di affari a venire”).
Mentre, nel furore informativo e comunicativo di questi mesi, è
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Conchita De Gregorio a riferire un’opinione competente in materia,
intervistando Cristiana Alicata, oggi nel CdA dell’Anas: “Che poi,
guarda: anche fuori della politica, anche nei giornali e nelle istituzioni
private, c’è chi è dentro il sistema” (Repubblica, 16 giugno scorso).
Forse, alle molte manutenzioni, ordinarie e quotidiane, elencate
nell’editoriale del Corriere della sera del 30 luglio, che sono mancate
in questi decenni – e indispensabili, ci viene ricordato, a rendere pulita
e decorosa la vita in una città – è il caso di aggiungere l’informazione.
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia : (ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana
Dalla Fondazione Rosselli di Firenze http://www.rosselli.org/
A Bagnoles per i Rosselli
di Valdo Spini
Bagnoles de l’Orne è cambiata. Ma non solo per l’inevitabile scorrere
del tempo. Questa cittadina della Normandia di circa 2.600 abitanti, nei
cui dintorni Carlo e Nello Rosselli furono assassinati dalla Cagoule su
mandato del governo fascista italiano, è sempre un’importante località
termale e turistica (Carlo Rosselli era venuto a curarvi la sua flebite),
solo che le disposizioni amministrative sono cambiate. La maggior
parte dei suoi alberghi (a cominciare dal glorioso Grand Hotel) sono
chiusi o sono diventate residenze, per effetto di nuove normative. Così
sia l’albergo in cui erano scesi Carlo e Marion Rosselli, raggiunti poi
da Nello, l’Hotel Cordier, un edificio di foggia tradizionale normanna,
sia il più imponente Bel Air che lo fronteggiava e da dove componenti
della Cagoule (la sanguinosa organizzazione terroristica di estrema
destra francese che li uccise materialmente), giunti da Parigi, ne
sorvegliavano i movimenti, sussistono ancora, ma sono desolatamente
chiusi. Li abbiamo fotografati, ancora con i loro nomi scritti sui
rispettivi edifici, perché ne rimanga traccia.
E fu proprio dall’Hotel Cordier, che i due fratelli, uscirono il 9
giugno 1937, con la Ford scassata usata da Carlo nella guerra di
Spagna, per portare Marion, moglie di Carlo, alla stazione e farla
rientrare a Parigi in tempo per festeggiare il compleanno del
primogenito, per dirigersi poi ad Alençon, sempre costantemente
sorvegliati dalla Cagoule, che organizzò il sanguinoso agguato sulla
via del ritorno, a pochi chilometri dal rientro a Bagnoles.
A Bagnoles, nessuna indicazione turistica o stradale attira
l’attenzione sulla presenza di un monumento commemorativo posto sul
luogo del delitto, ma la memoria rimane, almeno nei più anziani.
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Entrati in una boulangerie del vicino paesino di Couterne, e chiesto
indicazioni per il monumento, una signora che aspettava il suo turno
per comprare il pane ce lo indicò. E così un cliente del negozio di fiori
dove avevamo comprato le rose che abbiamo depositato ai piedi del
monumento.
Non solo, il corposo volume che viene offerto in vendita nella
principale libreria per chi vuole documentarsi sulla storia del territorio
de l’Orne, ricorda, con qualche inesattezza, ma con netta solidarietà, la
vicenda del delitto[1].
Tuttavia non bisogna farsi illusioni: il tempo può far svanire questi
ricordi se non ne riattiviamo la conoscenza.
Abbiamo ripercorso la strada, ora asfaltata, (all’epoca sterrata), nello
stesso senso dei fratelli Rosselli e a pochi chilometri da Bagnoles,
abbiamo rincontrato la foresta, scelta dalla Cagoule come teatro
dell’azione criminale. Indotti a fermare la loro macchina, i due fratelli
furono uccisi a rivoltellate e a pugnalate da un commando della
Cagoule che agiva su mandato e in contatto diretto con il Servizio
Informazioni Militari del governo fascista italiano.[2]
Come dicevamo prima, nessun cartello annuncia il monumento, che
è però ben tenuto. C’è una siepe ben curata a ferro di cavallo, aperta
verso la strada, da cui, camminando sopra un colorato ghiaino, si
accede al monumento, opera dello scultore di Carlo Sergio Signori
(1949). Nelle fila di Giustizia e Libertà, il movimento antifascista
fondato e guidato da Carlo Rosselli, vi era anche un grande storico
dell’arte, Lionello Venturi, padre dello storico Franco. Fu sotto il suo
impulso che per il monumento si scelse una forma di arte astratta e non
figurativa, fatto piuttosto coraggioso per l’epoca.[3] Il monumento fu
scolpito a Carrara nello studio Nicòli, e di lì partì alla volta della
Francia, salutato alla partenza, tra gli altri, da Ferruccio Parri ed
Ernesto Rossi. Fu inaugurato il 19 giugno 1949 alla presenza dello
stesso Parri e di numerosi esponenti italiani e francesi.
Il monumento è tutto sommato ben tenuto, lindo e pulito. Ai suoi
piedi due coroncine simboleggiano l’omaggio ai due martiri. Avevo
visto il bozzetto del monumento quando, grazie allo studio Nicòli di
Carrara lo avevamo esposto allo Spazio QCR il 9 giugno 2014, in
occasione del 77esimo anniversario. Ma un monumento va visto nel
suo contesto, nel suo posizionamento. E la mia impressione è stata
nettamente positiva. Le due alte steli rappresentano in qualche modo
qualcosa di ancor più duraturo delle stesse immagini. Con lo sfondo
del bosco che servì da cornice al criminale agguato, invitano al
raccoglimento, alla meditazione, alla presa di coscienza. Una tremenda
impressione.
Quella che avrebbe bisogno di una pulitina per ritornare realmente
leggibile è l’iscrizione posta in cima alla stele più alta. Essa suona così:
CARLO ET NELLO ROSSELLI
TOMBES ICI POUR LA JUSTICE
ET LA LIBERTE’
SOUS LE POIGNARD DE LA CAGOULE
PAR ORDRE
DU REGIME FASCISTE
ITALIEN
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L’iscrizione non ha bisogno di alcun commento. Possiamo accostarvi
quella che Piero Calamandrei scrisse per la loro tomba nel cimitero di
Trespiano (Firenze):
CARLO E NELLO ROSSELLI
GIUSTIZIA E LIBERTA’
PER QUESTO VISSERO
PER QUESTO MORIRONO.
A noi sta di non dimenticare, di praticare e di tramandare il loro
ricordo. In tale contesto, dobbiamo dedicare più attenzione a questo
monumento posto in terra di Francia e chiedere che ci siano più
indicazioni, più conoscenza.
[1] A. E. Poëssel. L’Orne et L’histoire, Condé-sur-Noireau, Editions Charles Corlet,
2011,pp.453-4-.
[2] Per la ricostruzione del delitto, per parte italiana, rinviamo al documentatissimo, M.
Franzinelli, Il delitto Rosselli, Milano Mondadori 2007. Per parte francese, al sito
www.persee.fr in cui vi sono numerosi articoli non solo sul delitto, ma anche sugli
echi nell’opinione pubblica francese in generale e della Normandia in particolare.
[3] Cfr. F.A. Nicòli, Il Monumento ai Fratelli Rosselli 1946-49, in “Quaderni del
Circolo Rosselli” , n.3/2014, Pacini Editore, Pisa, pp. 166-174. Vedi Per la
Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, www.rosselli.org
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/
Io, nipote di profughi
Noi che una patria, per quanto sgangherata, ce l’abbiamo; noi che
una casa, pur modesta, ce l’abbiamo, sforziamoci di provare almeno
un po’ di solidarietà.
di Edoardo Crisafulli
Mia nonna paterna, Edwige Schwartze, mi raccontava spesso la storia
della nostra famiglia: “quand’ero bambina vivevamo in pace in
Transilvania, la nostra Siebenbürgen, nel cuore dell’Impero austro-
ungarico. Eravamo di lingua e cultura tedesca, ma ci sentivamo
ungheresi. Eravamo felici e sereni. Poi deflagrò quell’orribile guerra,
nel 1914. Pochi anni dopo, con la sconfitta degli Imperi centrali, il
nostro mondo crollò. Iniziarono i disordini, e si cominciò a patire la
fame, a noi sconosciuta fino ad allora. La Transilvania venne ceduta
alla Romania, che aveva combattuto contro l’Impero austro-ungarico.
L’Ungheria precipitò nel caos, sembrava che stesse per scoppiare
una rivoluzione. Il bolscevico Bela Kuhn andò al potere, e proclamò la
Repubblica sovietica ungherese. Lì iniziò il nostro calvario. Eravamo
benestanti e perdemmo tutto, dalla mattina alla sera. Vivevamo nel
terrore. Tuo bisnonno Emil fu imprigionato e obbligato ai lavori forzati
dai comunisti ungheresi. Era un borghese, un proprietario terriero, e
andava punito in maniera esemplare. Sottoposto a crudeli privazioni, si
ammalò gravemente. Intanto cominciava un’altra guerra, questa volta
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tra Ungheria, Cecosolovacchia e Romania: Bela Kun, nel 1919,
occupò parte della Slovacchia e tentò di riprendersi la Transilvania. Ma
non ci riuscì. Senza più proprietà e reddito, ora eravamo anche apolidi,
senza patria. In fondo, continuavamo a sentirci ungheresi di etnia
tedesca. Ma l’Ungheria era in mano ai bolscevichi. E la Transilvania
era rumena. Decidemmo di fuggire da una terra che la nostra gente
abitava da secoli. Portammo via con noi poche cose, stipate su un
carretto: qualche mobiletto, qualche ricordo, gli abiti, l’argenteria.
Iniziò così un lungo e terrificante viaggio: il papà era ammalato e la
mamma doveva occuparsi di 6 figli – il più piccolo aveva tre anni, il
più grande dodici. Iniziarono le peregrinazioni nei Balcani, nei
territori di un Impero in disfacimento, dove emergevano gli odi
interetnici a lungo repressi. Subimmo soprusi e crudeltà da parte di
tutti: dai rumeni (in quanto ungheresi), dai serbi (in quanto ‘austriaci’),
dai croati (in quanto protestanti). Finché non arrivammo ad Abbazia,
che era da poco passata all’Italia. La conoscevamo bene perché era una
importante meta turistica come lo è Riccione oggi.
Ci sistemiamo in una pensioncina e non sappiamo più a che santo
votarci. I nostri soldi sono carta straccia. L’argenteria l’abbiamo già
venduta. Papà si aggrava. Mamma ha i nervi a pezzi. I carabinieri
italiani ci hanno appena controllato i nostri documenti. Abbiamo il
batticuore: ci maltratteranno anche loro? Ci cacceranno via anche loro?
Capiamo poco di quel che ci dicono. Ci paiono così strani, con quelle
divise buffe e quell’aria così poco marziale. Guardano i bambini e
confabulano fra di loro. Noi ci stringiamo tutti assieme. Se ne vanno.
Dopo una mezz’oretta si sente bussare alla porta. I carabinieri sono
tornati. Mamma ha un tonfo al cuore. Apre la porta, tenendo la mia
sorellina Ruth in braccio. I carabinieri gesticolano indicando dei
contenitori di latta che hanno con sé. È il latte per i bambini, dicono.
Noi scoppiamo a piangere. È la prima volta che veniamo trattati con
umanità. Poco dopo papà ha una crisi, e viene ricoverato in ospedale.
Sul letto di morte dice a mamma: ‘lasciate perdere l’Austria.
Rifugiatevi in Italia. Sono certo che vi troverete bene. Gli italiani sono
un popolo che ha cuore.”
Se non fosse stato per quell’episodio di generosità io probabilmente
non sarei mai nato. La mia famiglia ungaro-tedesca sarebbe finita a
Vienna, com’era nelle intenzioni iniziali. Mia nonna invece si stabilì in
Italia con tutta la famiglia e sposò un siciliano, così nacque mio padre.
La scelta non fu facile: all’epoca una ragazza ungaro-tedesca, per
giunta protestante, agli occhi di un siciliano appariva esotica quanto
una cinese o una afgana oggi. Mia nonna è rimasta una profuga
nell’animo per tutta la vita. Non ha mai voluto possedere una casa.
Non ha mai smesso di rimpiangere la sua amata Transilvania. Il
dramma dei profughi lo devi toccare con mano, per capirlo. Io l’ho
vissuto attraverso le narrazioni sofferte di mia nonna.
In questi mesi ho letto cose sui profughi da far rabbrividere. ‘Sono
pericolosi. Ci portano malattie infettive’; ‘sono bugiardi, non scappano
da guerre: vengono da noi per farsi mantenere’; ‘si lamentano e poi
hanno tutti il telefonino’; ‘fra loro pullulano i criminali e i terroristi’.
È questo, mi chiedo, lo stesso popolo che accolse la famiglia di mia
nonna negli anni Venti del secolo scorso? Certo, ci sono le migliaia di
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volontari della Caritas e di altre organizzazioni benefiche. Tanti italiani
si rimboccano le maniche, si prodigano e si commuovono alla vista dei
disperati che cercano rifugio in Italia. Ma gli indifferenti sono tanti,
troppi. È la crisi che ha indurito il cuore degli italiani? No, è il
benessere che ci ha resi egoisti. Rispetto ai tempi di mia nonna
abbiamo molto di più eppure siamo disposti a dare molto di
meno. Diciamo che non possiamo permetterci di aiutare gli stranieri, e
poi sprechiamo ogni anno tonnellate di cibo senza battere ciglio; ci
arrabbiamo se i profughi rifiutano un piatto di pasta e osano pretendere
un vitto diverso (cosa dovremmo dar loro, il rancio con un tozzo di
pane secco?) e poi stiamo a nostro agio in una società iper-consumista,
traboccante di beni superflui, che ci invita ogni giorno a sprecare e a
buttare via.
Diciamola una verità scomoda: non è vero che non potremmo
accogliere più profughi. È che non vogliamo farlo. Ecco perché la
destra leghista e xenofoba è riuscita a scatenare una guerra fra poveri: i
disoccupati e i bisognosi italiani contro i profughi e gli immigrati. I
veri miserabili sono coloro che si accaniscono contro gli stranieri, i
diversi per raccattare un pugno di voti. Ignobile il titolo di Libero del
27 agosto 2015. “Ai clandestini i soldi dei disabili”. Dove eravate, cari
leghisti, quando per decenni di vita repubblicana impiegati, docenti,
operai con i loro magri salari finanziavano le scuole e gli ospedali ai
grandi evasori fiscali, tutti italianissimi? C’è una sola grande, vera
ingiustizia sociale nell’Italia d’oggi: i ricchi diventano sempre più
ricchi e i poveri sempre più poveri. E voi che fate? Ve la prendete con i
reietti, con gli ultimi, con i diseredati.
Intendiamoci: non sono un sostenitore dell’etica del Buon
Samaritano a oltranza. Quando la coperta è corta, e tutti vogliono
tirarla dalla loro parte, bisogna fare scelte dolorose. Comprendo
l’amarezza e la delusione del disoccupato italiano che si sente
trascurato dal proprio Stato. Agli italiani onesti, in regola col fisco, va
riconosciuto un diritto di priorità nell’assistenza sociale. Mi pare
sacrosanto. Non possiamo mica accogliere tutti: i migranti economici
(quelli in cerca di lavoro) e i clandestini senza fissa dimora non hanno
il diritto di rimanere in Italia a spese nostre. Ma nei confronti dei
profughi e dei rifugiati politici abbiamo un obbligo morale di
assistenza. Dal mio popolo mi aspetto molto di più. Voi che temete
un’invasione barbarica pensate – almeno per un istante – alle
sofferenze dei poveri disgraziati che fuggono dalle dittature, dalle
violenze. Non vi chiedo di tornare indietro con la memoria a cent’anni
e più fa, quando erano i vostri nonni e bisnonni a emigrare con le
valigie di cartone. A voi, che siete orgogliosi delle radici cristiane
dell’Europa, a voi che inorridite al pensiero che il canto del Muezzin
rimpiazzi il suono delle campane, chiedo uno sforzo mentale in più. Vi
chiedo di dedicare un momento di riflessione ai tanti profughi senza
nome e senza tomba, affogati in mare.
Io, nipote di profughi, non posso dimenticare che senza la generosità
degli italiani non sarei neppure nato. Voglio tramandare questa mia
storia famigliare. Prima di escogitare soluzioni pratiche, prima di
parlare di lotta (giustissima) agli scafisti, intendo testimoniare la
sofferenza e il dolore del profugo, dell’apolide che perde tutto – a volte
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anche la sua stessa vita – per scappare da guerre e rivoluzioni che non
ha scatenato e che lo hanno travolto. Noi che una patria, per quanto
sgangherata, ce l’abbiamo; noi che una casa, pur modesta, ce
l’abbiamo, sforziamoci di provare almeno un po’ di solidarietà.
Revisione costituzionale del Senato
Alcune gravi criticità
di Felice Besostri
Una revisione costituzionale ampia, come quella di cui si discute, fatta
da un Parlamento, la cui composizione è stata dichiarata
incostituzionale, avrebbe dovuto richiedere un confronto ampio per
trovare un consenso almeno superiore ai 2/3. Non per evitare il
referendum confermativo, poiché una delle norme da cambiare era
proprio quella che lo escludeva in presenza di questo quorum. Il Patto
del Nazareno non bastava. In ogni caso è nella discussione pubblica
che si assumono gli impegni e non in segrete stanze senza un testo
scritto da mostrare urbi et orbi.
Ora i nodi stanno giungendo al pettine e chi vuole la riforma ad ogni
costo non può, per ragioni di dignità politica propria, contare su
profughi o transfughi allo scopo di ottenere una risicata maggioranza.
L'accordo sul superamento del bicameralismo paritario è vasto e quindi
la "revisione", non chiamiamola riforma per rispetto di questa parola,
avrebbe potuto procedere spedita.
Sulla linearità e trasparenza del processo di revisione costituzionale
e della parallela nuova legge elettorale avrebbero dovuto vigilare il
Presidente della Repubblica e la Presidenza delle due Camere. Così
non è stato. Anzi si sono commessi strappi regolamentari che
configurano in quest'ambito un modo di procedere, comunque,
politicamente sbagliato.
Ora siamo in zona Cesarini e le posizioni appaiono chiare, nel senso
che le decisioni sono politiche e non di natura regolamentare. Ciò si dà
grazie anche a un illustre precedente, relativo ad una norma
costituzionale delicata come l'art. 68; questo precedente risale al 1993
quando la Camera era presieduta da Giorgio Napolitano e il Senato da
Giovanni Spadolini.
Nel quadro attuale alcuni problemi appaiono difficili, ma non
impossibili da eliminare come lo squilibrio numerico tra Camera e
Senato (630 vs 100), che non sarebbe ovviato neppure con un'elezione
diretta della seconda Camera. Quello che non va è l'ambiguità senza
precedenti della natura del Senato, inammissibile in un paese che
storicamente proprio in un Senato, quello romano, ha avuto un organo
collegiale di esercizio e controllo del potere.
Così come configurato, il Senato non è l'espressione tipica degli
Stati federali, né nella forma dell'elezione diretta in numero uguale da
parte della popolazione dei soggetti federati (Stati Uniti,
Confederazione Elvetica), né di rappresentanza degli esecutivi dei
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soggetti federati (Bundesrat tedesco), men che meno un corpo
legislativo rappresentativo del sistema delle autonomie (Senato
francese). Il Senato francese è eletto indirettamente da una platea vasta
di amministratori locali, dipartimentali e regionali, nonché dai deputati:
150.000 grandi elettori e non un migliaio di consiglieri regionali che si
nominano tra di loro in un collegio ristretto. Altra caratteristica del
Senato francese è che i 321 senatori sono eletti per 6 anni, mentre i 577
deputati per cinque. Un organo stabile e quindi autorevole e non
l'albergo a ore del futuro Senato italiano. Altra anomalia: per il nostro
art. 114 Cost. sono parti costitutive della Repubblica, oltre che lo Stato,
i comuni, le provincie, le città metropolitane e le Regioni, quest'ultime
senza essere gerarchicamente sovraordinate alle altre. Non si
comprende per quale ragione i consiglieri regionali debbano scegliere i
sindaci e non quest'ultimi i consiglieri regionali da mandare in Senato;
i sindaci sono sicuramente più rappresentativi.
Nell'ottica di un Senato delle autonomie, nessuno è stato in grado di
spiegare per quale ragione gli unici soggetti esclusi a priori saranno i
sindaci metropolitani che si facessero eleggere direttamente dai
cittadini. Non è un caso che nell'ultima tornata amministrativa dei
consiglieri regionali si siano fatti eleggere sindaci di comuni sotto i
5.000 e perciò compatibili. Il primo cittadino di Milano non potrebbe
andare in Senato nemmeno un giorno alla settimana, diversamente da
quello di un comune minore. Tuttavia questi sindaci di comuni minori
non potrebbero assumere funzioni di rilievo in Senato, inibiti da una
norma che demanda al futuro Regolamento di stabilire incompatibilità
con incarichi esecutivi di Comuni e Regioni.
Ci si dimentica inoltre, che i consiglieri regionali sono e saranno
eletti con leggi maggioritarie con premi di maggioranza che variano da
un 55% ad un 61% e con soglie di acceso che raggiungono anche il
10%. Non rappresentano quindi la popolazione della loro regione né i
Governi regionali, perché tra i Senatori hanno diritto di entrare, non è
chiaro se in proporzione ai voti o ai seggi, anche consiglieri di
minoranza. Conseguenza prevedibile: in tale contesto non potrà essere
abolita la Conferenza Stato- Regioni.
Quindi, prima di pasticciare l'elezione del futuro Senato occorre
chiarirsi sulla natura e funzione della seconda Camera.
La proposta di un listino di consiglieri da far votate dagli elettori,
anche se non bloccato, non è una mediazione seria: una pezza (tacòn)
peggio del buso.
Comunque, va colto un elemento positivo: la generale presa di
coscienza che il ddl costituzionale va cambiato.
ALCUNE STRALCI DA LETTERE DI
BUON COMPLEANNO AL COOPI
Auguri - Auguri al Coopi! Buon compleanno e buon lavoro!
A.G., e-mail
<>
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Un abbraccio - Che bella festa d'anniversario! Vi penserò. Un
abbraccio.
E.S., Pavia
<>
Mi felicito per la vostra iniziativa - Mi felicito per la vostra
iniziativa, che mi sembra molto interessante, tesa com'è a richiamare le
origini del Coopi zurighese.
A.L., e-mail
<>
A tutti gli amici del Coopi… A tutti gli amici del Coopi auguro
un buon esito della manifestazione che, ne sono certo, avrà un ottimo
impatto…
G.M., e-mail
<>
Un augurio zimmerwaldiano - Zimmerwald potrebbe essere una
occasione non semplicemente per rievocare il passato ma per
interrogarci sul futuro dell'idea di socialismo…
V.A., Roma
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.